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“Troppi. Conversazioni sulla sovrappopolazione umana e sul futuro del pianeta” di Alfonso Lucifredi

a cura di Giacomo Milazzo

Troppi

Recensione

La moderna genetica molecolare ha fornito le prove definitive che Homo sapiens è su questo pianeta da non più di 300.000 anni, un battito di ciglia paragonato al Tempo Profondo della sua storia. Conosciamo molti dettagli delle storie che ci permettono di risalire indietro nel tempo e di ricostruire i vari passaggi, le varie migrazioni che hanno portato un piccolo gruppo di africani da cui discendiamo a spargersi su tutto quanto il pianeta nel giro di qualche decina di migliaia di anni, incontrandosi e talora ibridandosi con altre forme umane, con altre specie, e c’è stato un tempo in cui la nostra ha convissuto con almeno altre quattro specie umane. A volte estinguendosi, perché sappiamo che ci sono state popolazioni umane che si sono estinte. Altre volte, il più delle volte, esplodendo da poche migliaia di individui usciti dall’Africa e arrivando fino agli attuali otto miliardi di individui…e continua.

Presto, prima di quanto si pensi, nel giro di due o tre generazioni, 50-75 anni, arriveremo a dieci miliardi, (altri stimano addirittura nel 2058) e il problema principale su cui si interroga l’Autore è come ci arriveremo. Nella speranza di non lasciare indietro nessuno.

Per quasi tutti noi il passato si ferma un paio di generazioni fa: quanti di noi conoscono il nome di tutti i loro bisnonni? Eppure se abbiamo certe caratteristiche lo dobbiamo a loro. E le genealogie si moltiplicano: due genitori, quattro nonni, otto bisnonni e così via. E ognuno di loro aveva a sua volta otto bisnonni…Venti generazioni fa, più o meno due secoli e mezzo, fa 220 antenati: un milione circa. E nel DNA di ognuno di noi c’è un milionesimo del loro DNA. Pochissimo, dal punto di vista strettamente genetico, ma molto da altri punti di vista. Siamo elementi di una continuità genealogica che proviene dalle profondità del tempo e si estenderà nel futuro, se non saremo così stupidi da compromettere la nostra stessa sopravvivenza.

Alla fine del 2022 la popolazione mondiale ha superato la soglia degli 8 miliardi di individui, il 7% vivente dei circa 114 miliardi di tutti gli esseri umani che hanno mai abitato il nostro pianeta a partire da 2 o 300.000 anni fa ad oggi. Da poche migliaia di individui all’inizio ai 4 milioni di circa 10.000 anni fa, all’inizio della rivoluzione agricola, l’umanità è salita gradualmente a circa 800 milioni al momento della prima rivoluzione industriale, avvenuta solo due secoli fa. In confronto all’arco temporale della storia umana, che abbraccia più di due milioni di anni, l’incremento del numero di persone sulla Terra si è verificato principalmente negli ultimi due secoli, risultando in una concentrazione senza precedenti.

Tutti dovrebbero conoscere il biologo americano Paul Ehrlich che nel 1968 scrisse un libro, The Population Bomb, in cui dipingeva a tinte fosche il futuro, prevedendo centinaia di milioni di morti per fame e con l’India che non sarebbe sopravvissuta oltre il 1980.

Nulla di tutto ciò accadde. In India la popolazione è raddoppiata rispetto al 1968, superando recentemente la Cina, ma è anche il paese che ha più che triplicato la propria produzione di grano e riso e la sua economia è cresciuta di cinquanta volte. Nonostante le enormi sacche di povertà che ancora affliggono soprattutto l’India.

Nel 1990, meno della metà della popolazione della Terra aveva accesso a sistemi di distribuzione idrici centralizzati; oggi questi sistemi raggiungono il 60 percento della popolazione, un successo enorme se si tiene conto che nel frattempo siamo passati da 5,3 a 8 miliardi di persone.

Anche se miglioramenti sono ovunque, una famiglia media oggi spende per il cibo una percentuale minore del proprio budget di quanto non accadesse trenta anni fa, ciò non significa che sia partita una inesorabile marcia verso il progresso e il benessere per tutti, né tanto meno è sostenibile che la malnutrizione non sia un problema serio o drammatico in alcune zone del mondo. Ed è questo enorme differenziale l’aspetto più preoccupante dell’esplosione demografica.

Anche se non possiamo liquidare Ehrlich dandogli del catastrofista la sua previsione era comunque sbagliata.

Non aveva tenuto conto della forza dell’innovazione, comprese le varie rivoluzioni agricole che hanno consentito di produrre una quantità di cibo per ettaro maggiore, un aumento di resa con la selezione artificiale di nuove varietà. Ma come nutrire tutti quando saremo 10 miliardi? E dopo questa soglia? Dietro i numeri asettici e freddi ci sono persone, popolazioni.

Un incremento in percentuale di popolazione non significa produrre cibo in più con un aumento dello stesso valore: ma molto di più, con parametri diversi per l’uso del suolo da destinare a terreni agricoli, risorse idriche, dinamiche di mercato, ridistribuzioni. Perché man mano che il benessere si diffonde, che la gente diventa più ricca, assume più calorie e in particolare assume più carne e più latticini, che a loro volta richiedono la coltivazione di maggiori quantità di cibo da destinare alla zootecnia. In altre parole, il tasso di crescita del cibo necessario per sfamare una popolazione in crescita è molto più alto che non quello della popolazione stessa.

L’innovazione consentirà certamente di produrre più cibo, di aumentare ulteriormente la resa, ma se continuiamo a produrlo con gli stessi metodi che usiamo adesso, le conseguenze climatiche saranno disastrose. E drammatiche saranno le conseguenze sociopolitiche e dei fenomeni migratori che da sempre accompagnano la storia dell’umanità. Benzina sul fuoco di condizioni già aggravate dal clima che cambia. Nonostante gli economisti continuino a raccontarci che la crescita continua, infinita, sia possibile su un pianeta decisamente finito.

O forse no? Considerando che sono diversi gli studi che hanno messo in evidenza un’inversione di tendenza che sembra convalidata da diverse centinaia analisi demografiche diverse. Ma non si pensi che sia la soluzione. Anche una popolazione che invecchia presenta problemi di sostenibilità dovuti alla diminuzione della forza lavoro ed all’aumento delle necessità di sostentamento e cura. Pur tenendo in debito conto che il valore di 10 miliardi sarà il tetto massimo prima dell’inversione di tendenza, saranno 10 miliardi di persone da sfamare e da curare.

Ma il problema principale ed almeno una dozzina di effetti collaterali gravi restano. Allevamenti intensivi, consumo di suolo a livelli spaventosi, per destinare ogni anno quasi 5 milioni di ettari all’agricoltura e all’urbanizzazione, energia e relative fonti la cui domanda è in continuo aumento, insieme a quella delle materie prime, trasporti, istruzione e cure mediche. E fin qui abbiamo ignorato la cosiddetta impronta ecologica che il genere umano ha sul pianeta fin da quando mosse i suoi primi passi, accelerando in modo esponenziale negli ultimi due secoli e mezzo, sesta estinzione di massa compresa.

Pur essendo a conoscenza dei fatti che ci riguardano non dovremo perdere di vista che stiamo eseguendo un esperimento planetario, e ne siamo al tempo stesso le cavie. Conoscere, anche con precisione, come sono cambiati i numeri della popolazione globale negli ultimi 10.000 o 100.000 anni, non ci serve a capire automaticamente quanti saremo tra 100 anni. Per quanto ne possiamo sapere su antiche popolazioni e sul loro stile di vita ciò non ci darà automaticamente la ricetta della sostenibilità.

L’Autore quindi, a corollario della domanda principale, quel «come ci arriveremo?» a 10 miliardi, si pone e ci pone altre domande, tutte ugualmente importanti e in un elenco non certo completo. «Ci saranno tensioni sociali? Dilagheranno fame e povertà? Dovremo fronteggiare nuove guerre e pandemie? Cosa ne sarà di tutto il resto della biosfera che con noi condivide l’esistenza sul pianeta Terra? Sopravviveranno zone di natura incontaminata? Quante specie di animali e di piante perderemo ancora?»

Siamo davvero troppi? Qual è il valore reale di quel troppi? Molti di noi hanno avuto esperienza di sovraffollamenti, manifestazioni, concerti allo stadio, la metropolitana all’ora di punta fino all’estremo degli addetti che in Cina o in Giappone, in guanti bianchi, spingono la gente dentro i vagoni prima che si chiudano le porte. Qualche migliaio di persone, decine di migliaia. Sono numeri che riusciamo a gestire, ma l’Autore mette in evidenza come le difficoltà nel comprendere il valore reale di numeri molto grandi aumentino con la loro grandezza.

Senza la pretesa di trovare soluzioni né suggerimenti il suo libro offre spunti di riflessione notevoli, rivolgendosi direttamente a chi senza dubbio ne sa di più, che siano scienziati o attivisti, giornalisti od esperti di varia natura. L’Autore non vuole convincere il lettore dell’urgenza di contenere il numero di esseri umani sulla Terra, né dipinge scenari, di qualsiasi tipo essi siano, men che mai catastrofici, che probabilmente non si verificheranno. Dai capitoli, soprattutto quelli dedicati alle conversazioni con esperti di varie materie, emergono problemi nuovi, punti di vista tutti da esplorare, sistemi ed espedienti per risolvere qualcosa. Mettendo in guardia su un errore comune: vittime del pregiudizio di sopravvivenza ci si dimentica si è giunti fin qui come “sopravvissuti”, a fronte della perdita di chi è rimasto indietro.

Le informazioni sono quindi utili a prendere coscienza di qualcosa che va fatto, con uno sforzo collettivo mondiale, che coinvolga decisioni politiche condivise e soprattutto a lungo, lunghissimo tempo, facendosi strada controcorrente, contro stili di vita costruiti sul momento presente. Politica ed economia, con piani al massimo biennali, crescite anno su anno, incoraggiano il pensiero a breve termine, senza considerare affatto il valore del processo, dello sviluppo e della maturazione, sminuendo persino il valore dell’istruzione, esempio illustre di investimento a lungo termine. Ancora una volta adattamento e prevenzione rispetto a quanto potrebbe aspettarci affinché si possano mitigare gli effetti e si arrivi preparati.

Molta enfasi viene data alla combinata “sovrappopolazione-cambiamento climatico”, e non a torto. Se si confrontano la curva di Keeling degli ultimi 10.000 anni con la crescita della popolazione nello stesso periodo la sovrapposizione della tendenza è eloquente. Ad evitare comunque correlazioni spurie va ribadito che quello della crescita demografica è solo una parte del problema del cambiamento climatico: le dinamiche dei sistemi complessi, che così tanto lontani sono dal nostro modo di pensare piuttosto teleologico, ci presentano scenari controintuitivi e difficili da capire. Ma la parola chiave che in qualche modo lega gli scenari e le relative problematiche è disuguaglianze. Sono entrambi innanzi tutto problemi di ordine sociale, con implicazioni drammatiche per una parte gigantesca dell’umanità. Quella parte da sempre ignorata. In entrambe le problematiche, i cui effetti si sovrappongono l’un l’altra, vedono solo azioni davvero efficaci a partire dalla più grande delle emergenze: le disuguaglianze economiche.

Negli anni Settanta fu chiesto all’economista indiano Amartya Kumar Sen, Nobel per l’economia nel 1998, di studiare ed esaminare le cause delle carestie. Fu dimostrato che la carestia non è dovuta alla mancanza di cibo, ma alla mancanza di accesso a questo. Non è un fallimento del sistema di produzione del cibo ma la perdita dei diritti sul proprio lavoro, su ciò che si compra o si produce. Ci sono numerosissimi casi che hanno dimostrato che spesso è stato l’aumento del costo del cibo, a parità di produzione, che ha impedito l’accesso e la fruizione di questo da parte delle classi meno abbienti. E il fenomeno è analogo a quello dell’acqua che impedisce, ad esempio, per mancanza di istituzioni adeguate, di ottenere acqua naturalmente disponibile se si realizzassero le infrastrutture necessarie, a costi contenuti e dover ricorrere ad esempio all’acqua in bottiglia o alle autobotti provenienti da chissà dove, a costi enormemente superiori. Omettere dal quadro generale tutti gli aspetti di giustizia sociale e redistribuzione delle risorse non porta da nessuna parte. Se l’umanità non capirà che la transizione energetica e/o la sovrappopolazione sono in primo luogo un problema sociale non sarà mai davvero conscia della loro gravità.

Insomma, come ebbe a dire Niels Bohr, uno dei padri fondatori della moderna fisica atomica, che l’abbia o meno davvero pronunciata (pare sia apocrifa) «E’ difficile fare delle previsioni, soprattutto sul futuro». Questa ironica affermazione, quasi paradossale, apre comunque a degli scenari da non sottovalutare affatto, anche se forse sarebbe opportuno fare previsioni solo su quel che accadrà tra dozzine di miliardi di anni, quando il cosmo sarà buio e freddo, e soprattutto senza nessuno a controllare la qualità della previsto.

Ma ci sono delle previsioni che, con altissima probabilità di accadimento, sono come affermazioni scolpite nella pietra.

Altro che il quadro fantascientifico, ma da molti valutato seriamente, che tanto poi arriva un ultramiliardario qualunque e salva l’umanità portandoci su Marte. Tecnologia a parte, quando mai noi umani siamo stati in grado di eseguire, nel corso di molti secoli o persino pochi decenni, un costruttivo progetto internazionale (o quantomeno qualcosa di diverso dalla devastazione di civiltà indigene, genocidi o tratta degli schiavi) che abbia richiesto spese immense senza immediato tornaconto? Come possiamo immaginare di poter prosperare su un corpo celeste con il quale non abbiamo nessuna connessione evolutiva? Non abbiamo nemmeno imparato a prenderci cura gli uni degli altri su questo vecchio, accogliente, ospitale pianeta.

Non esiste un pianeta né un piano “B”.

Tutto ciò in questo ottimo libro, e molto altro ancora.

La divisione dei capitoli è certamente legata alla necessità di fornire un progresso conoscitivo, un filo conduttore ed una certa propedeuticità; ma ciò non toglie che potrebbe essere soltanto fisica e facoltativa. Il libro potrà anche essere letto saltando anche a caso da un contributo all’altro, scegliendo a piacere l’ordine degli argomenti, e rimandando la progressione o la rilettura, costruendo un personalissimo percorso tematico.

Mi si consenta un’ultimo riferimento alle parole dell’Autore. Da quando avete iniziato a leggere, la popolazione umana è già aumentata di almeno 2.000 persone.

Nota. Leggendo il libro ho trovato molto gradita la sorpresa, nel capitolo 3 dedicato al cambiamento climatico, che l’Autore ha dialogato con Gianluca Lentini, autore dell’ottimo “La Groenlandia non era tutta verde” e di “Storie del clima“, da me recensiti lo scorso anno e di recente rispettivamente.  E nel corso dell’intervista lo stesso Lentini cita un’altra recensione dello scorso anno: “L’impronta originale” di Guido Chelazzi.
Direi che siamo sul pezzo!

 

Alfonso Lucifredi
Alfonso Lucifredi

Alfonso Lucifredi è un naturalista, giornalista scientifico, fotografo, videomaker, scrittore e musicista. Ha collaborato, tra gli altri, con l’associazione Festival della Scienza di Genova, il CNR-PSC, il Muvita Science Center di Arenzano, il Centro IMG di Genova Quarto (membro del comitato operativo e autore di percorsi didattici) e il Cronosfera Festival di Cavatore (membro del comitato scientifico).

Ha realizzato servizi su scienze, cultura e società per testate a diffusione nazionale. Dal 2007 è autore di mostre, laboratori, videointerviste e conferenze per il Festival della Scienza di Genova.

L’Autore ci racconta il suo libro

Il punto di vista estremo. Un estratto dal libro.
Estinguiti umano! da “Il Tascabile”

Gli argomenti dei capitoli con un mio breve commento al contenuto.

  • Siamo troppi?
    Concetti fondamentali e una prima serie di domande
  1. Demografia
    Conversazione con Conrad Hackett, demografo e direttore del Pew Research Center.
  2. Clima
    Conversazione con Gianluca Lentini, geofisico e climatologo presso Poliedra.
  3. Cibo
    Conversazione con Mauro Mandrioli, biologo e genetista presso l’Università di Modena e Reggio Emilia.
  4. Previsioni
    Come gli scenari si sono evoluti da Malthus a quelli moderni del MIT.
  5. Impronte
    Conversazione con Alessandro Tavecchio, biologo in forza alla SISSA di Trieste.
  6. Giustizia sociale
    Conversazione con Stephanie Feldstein del Center for Biological Diversity.
  7. Economia
    Conversazione con Luciano Canova, professore di Economia e Comunicazione della Scienza.
  8. Malattie
    Conversazioni con Roberta Villa, medico e giornalista, e Roberto Scaini, di MSF.
  9. Niente più figli?
    Conversazione con Less U. Knight, fondatore del VHEMT
  10. Politica
    Come vengono interpretati ed affrontati gli argomenti legati alla sovrappopolazione, con scenari e posizioni da diverse realtà sociali.
  11. Migrazioni
    Come la sovrappopolazione genera e genererà flussi migratori senza precedenti.
  12. Biodiversità
    Estinzione di massa, crisi della biodiversità, deforestazione. L’impatto della sovrappopolazione sull’ambiente.
  13. Empowerment
    Una chiave fondamentale per un punto di svolta. L’emancipazione e l’aumento del potere femminile.
  14. Conclusioni