a cura di Giacomo Milazzo
Recensione
L’autore affronta con chiarezza e rigore il tema del cambiamento climatico. Inizia sottolineando l’importanza della comprensione scientifica, anche per chi non è esperto nel campo. Illustra come l’umanità sia stata coinvolta in un cambiamento climatico senza precedenti sin dall’inizio, con esempi che, partendo dalla colonizzazione della Groenlandia arrivano alle proiezioni attuali del clima futuro.
Un punto chiave del testo è l’analisi dei dati climatici. L’autore evidenzia la complessità della climatologia, basata su quantità enormi di dati, spesso soggetti a errori umani o strumentali. Spiega l’importanza dei processi di omogeneizzazione e normalizzazione dei dati, che assicurano la qualità delle informazioni e la solidità delle conclusioni scientifiche.
Il testo passa quindi all’analisi del cambiamento climatico attuale, enfatizzando la sua eccezionalità. L’umanità si trova di fronte a un riscaldamento senza precedenti, con un’influenza antropogenica virtualmente certa al 99,9%. L’autore usa l’aggettivo “inequivocabile” per sottolineare la chiara correlazione tra le attività umane e il cambiamento climatico.
Un aspetto rilevante è la responsabilità dell’umanità nei confronti dell’ambiente. L’autore sottolinea che l’umanità è diventata una forza ambientale dominante, responsabile di cambiamenti climatici, e sottolinea la responsabilità di gestire questa influenza a livello planetario. Questo concetto è espresso con la definizione di “Geologia dell’Umanità”.
Il testo affronta anche alcune tesi climascettiche, che vengono criticate per la loro superficialità e mancanza di spessore scientifico. L’autore distingue tra dissonanza razionale e negazionismo preconcetto, enfatizzando l’importanza della voce scientifica basata su fatti incontrovertibili, dati sperimentali e modellizzazione matematica. L’autore smonta argomenti negazionisti basati su cicli climatici passati o cause naturali, dimostrando che tali spiegazioni non possono giustificare l’attuale cambiamento climatico causato dall’azione umana.
In conclusione, il testo invita i lettori a considerare seriamente l’urgente necessità di affrontare il cambiamento climatico e di seguire le indicazioni scientifiche per mitigare i suoi impatti offrendo una panoramica completa delle sfide e delle controversie legate al cambiamento climatico e richiamando l’attenzione sulla responsabilità dell’umanità nel plasmare l’ambiente globale durante l’era del cosiddetto Antropocene.
A seguire l’intervento dell’autore al TedX (6.12.2022) ed il suo recentissimo podcast (9.1.2024) curato dalla casa editrice.
Selezione dai capitoli
- Se non si è addetti ai lavori comprendere la scienza è quasi sempre difficile, ma con calma e pazienza si può venire a capo della comprensione di (quasi) tutto ciò che è scientifico. E persino per gli addetti ai lavori ci sono ambiti per cui devono darsi da fare per capire gli argomenti di altri colleghi. E con calma e pazienza Lentini ci guida in territori complessi, sconosciuti ai più o sui quali si è generata in passato troppa disinformazione, troppi malintesi ma soprattutto troppe inesattezze. Ma la fatica necessaria è ripagata dalla consapevolezza e soprattutto dal fornirci strumenti con cui ribattere alle continue negazioni dell’evidenza: siamo una specie che interagisce col pianeta Terra e questa interazione ci ha portato a dover confrontarci, ora, con un cambiamento climatico senza precedenti.
- Partendo dalla prima operazione documentata di greenwashing, intorno all’anno 1000 e che racconta le saghe nordiche della colonizzazione della Groenlandia, si è accompagnati nell’analisi e nella traduzione degli asettici numeri presentati continuamente dall’IPCC, raccontandoci quanto sta già accadendo e quanto a venire. Con un linguaggio preciso e puntuale i concetti scientifici e le statistiche complesse che ci portano ad affrontare il lessico della chimica, della fisica, della geologia e soprattutto della climatologia, si trasformano però in un quadro chiaro; è il linguaggio corretto a far da guida, per far sì che il significato vero di quelle parole possa quanto meno scuoterci dal torpore che finora ci ha impedito di interessarci alla questione, e metterci in grado di eleggere persone capaci di guidare il mondo nella giusta direzione. O come minimo sperando di contrastare il prossimo climascettico che incontreremo.
- Considerando che la climatologia è soprattutto scienza statistica e questa è alimentata da quantità inimmaginabili di dati, oggi diremmo TB se non PB o EB (^12, 15, 18), si mette in particolare evidenza che l’avere a disposizione dati storici, gli annali metereologici, pur se ricchissimi di informazioni dirette ed indirette, non è sufficiente a garantire che questi dati siano privi di errori umani, strumentali o comunque fattori non climatici tali che possano alterare la reale situazione climatica in un dato periodo e in una determinata regione. Ed allo scopo si illustrano i processi di omogeneizzazione e normalizzazione applicati ai dati da utilizzare che assicurano ai climatologi di lavorare su dati di qualità e sottoposti ad indagini statistiche per assicurarsi che le affermazioni fatte sulle tendenze siano robuste e comprovate.
- Nonostante la proiezione climatica, di elevata probabilità, su quanto accadrà entro una data futura e che è appena qualche generazione a venire, si va delineando una situazione paradossale: quella che nonostante la consapevolezza e la certezza degli eventi futuri si continua a cercare altre giustificazioni, a minimizzare, a sottovalutare ed a negare. Accertato che i rapporti dell’IPCC siano l’espressione delle massime competenze e conoscenze scientifiche sulla climatologia i numeri riportano oggi, che inequivocabilmente non è mai esistito un periodo di riscaldamento plurisecolare così veloce nemmeno guardando indietro alla storia del pianeta degli ultimi 100.000 anni. E se l’espressione riduttiva “il clima è sempre cambiato” può sembrare logica non è così perché non è mai cambiato in questo modo. L’influenza umana in tutto questo è virtualmente certa, ovvero con una probabilità del 99,9%. Inequivocabile è l’aggettivo chiave.
- Può una singola specie essere determinante per la sopravvivenza stessa dell’ambiente in cui vive? Senza dubbio. Ed è proprio questo il ruolo che la specie umana ha assunto da qualche secolo e resterà una fondamentale forza ambientale per molte migliaia di anni, sempre che nel frattempo non si sia autodistrutta o non sia stata estinta da catastrofi naturali (una pandemia, l’impatto con un asteroide, un conflitto mondiale, l’olocausto nucleare). L’enorme responsabilità che deriva da tutto ciò è evidente nell’impatto che la specie umana, iniziatrice del cosiddetto Antropocene, ha avuto e sta avendo sul cambiamento climatico in atto e su qualsiasi altro impatto negativo che questa ha sull’ambiente, con un’estensione geografica e temporale così vaste e preponderanti da avere un’influenza planetaria tale da potersi definire senza dubbio “Geologia dell’Umanità”. Con dovizia di particolari vengono quindi forniti i numeri, indiscutibili, i fatti e gli impatti con le loro conseguenze. Le indicazioni ci sono, da tempo, vanno seguite.
- Le voci negazioniste hanno forme molteplici. Di contro la voce scientifica, è una, chiarissima. La voce dei fatti incontrovertibili, delle evidenze sperimentali, dei risultati matematici della modellizzazione, dei confronti tra posizioni fino al consenso scientifico. Smarcato con decisione il problema del consenso scientifico, e distinta la dissonanza razionale dal puro negazionismo preconcetto, pur consci che nulla potremmo contro quest’ultimo se non ridurlo sempre più intensamente ad una flebile voce, nell’ultimo capitolo vengono affrontati i temi che sono continuamente opposti ai risultati, nel tentativo di fornire una voce alternativa, un diverso modello. Con i soliti luoghi comuni del cambiamento ciclico e continuo del passato, dei cicli naturali chiamati in causa a sproposito ed in malafede, dell’origine ora solare ora vulcanica del riscaldamento ed altro ancora, nulla ha potuto finora dimostrare che il cambiamento climatico con riscaldamento di natura antropogenica è una realtà. Parafrasando l’autore no, la Groenlandia non era tutta verde ma certamente può arrivare ad esserlo.
Intervista con l’autore
D. Sappiamo che il concetto di “Anomalia Calda Medievale” fu introdotta perché quello di “Interglaciale del Basso ME” o “Periodo Caldo Medievale” poteva minare le ipotesi di riscaldamento antropogenico. Studi recenti basati su isotopi hanno dimostrato che fu un vero e proprio interglaciale: c’è un motivo specifico per cui lei usa il concetto di “Anomalia”?
R. Il termine “Anomalia Calda Medievale” è quello attualmente ritenuto più adeguato nella letteratura internazionale. Vuole proprio indicare il fatto che si tratta di un evento, dal punto di vista geologico, in controtendenza con quanto avveniva sul resto del pianeta nel medesimo periodo. L’attuale riscaldamento globale è, appunto, globale, e non vede alcuna area della superficie terrestre in controtendenza.
D. Lei definisce IPCC «l’assemblea internazionale più estesa e più autorevole della climatologia mondiale». Stante anche la presa di posizione di taluni, persino un premio Nobel, ritiene possibile l’esistenza di organismi scientifici plausibilmente ascoltabili che possano alimentare una sorta di dissenso alle conclusioni di IPCC?
R. Ho trovato curiosa l’attenzione che si è rivolta a un Nobel per la Fisica (premiato per i suoi lavori sulla Meccanica Quantistica nel 2022, e che non ha mai lavorato su nulla relativo al clima o alla fisica dell’atmosfera), mentre si è talvolta preferito ignorare i Nobel del 2021, sempre in Fisica, conferiti a tre climatologi proprio per aver correttamente previsto e modellizzato il riscaldamento globale antropogenico. Come tratto anche nel libro, l’opinione non suffragata di un singolo, per quanto illustre, non conta nulla a fronte dei tre pilastri principali del consenso scientifico: i dati, le equazioni e i modelli. Al momento attuale, la stragrande maggioranza di coloro che si occupano di climatologia è soddisfatta dalla spiegazione antropogenica del riscaldamento globale, a fronte dei dati, delle equazioni e dei modelli a nostra disposizione, e nessuna delle ipotesi alternative, e men che meno le ‘opinioni alternative’, soddisfa questi criteri.
D. Al termine della lettura del famoso libro di Behringer, “Storia culturale del clima”, da lei citato, verrebbe spontaneo chiedersi, ma fa più caldo perché c’è più CO2 o c’è più CO2 perché fa più caldo? (domanda un po’ ironica/provocatoria)
R. “I polli non fanno le uova, perché nascono dalle stesse”. La relazione tra CO2 e temperatura è nota e studiata almeno dal 1861, dalla Lezione Bakeriana del fisico anglo-irlandese John Tyndall, ed è stata definitivamente consacrata dal lavoro di Svante Arrhenius del 1896. Che specifici incrementi di CO2 possano seguire gli incrementi di temperatura è dovuto all’immissione in atmosfera di CO2 intrappolata nella criosfera e nell’idrosfera, nelle quali la solubilità della CO2 decresce proprio a seguito degli incrementi di temperatura.
D. Se paradossalmente dovessimo accettare la posizione di Arrhenius, che tutto sommato più caldo è meglio, per paesi alle latitudini temperato-boreali, quali, secondo lei, le conseguenze negative principali?
R. Naturalmente, nel contesto del riscaldamento globale, vi sono aree del pianeta che vedono effetti positivi, come un miglioramento delle potenzialità agricole o turistiche. In seno alle COP si deve cercare un compromesso anche a fronte di Paesi che, legittimamente, possono giovarsi di qualche effetto positivo da riscaldamento globale. Allo stesso tempo, però, questi medesimi Paesi vedono a loro volta un incremento di alcuni fenomeni estremi, comunque dannosi e, al momento, non si è ancora manifestata una vera contrapposizione tra diverse aree del pianeta sul tema della mitigazione e dell’adattamento.
D. A pag. 59 riporta i risultati dell’analisi del 2019 della Banca Centrale svedese che indica che l’approccio “iper zelante”, ovvero ristrutturare da zero l’economia rendendola completamente indipendente da fonti fossili costerebbe meno che non una politica del laissez-faire. Ovviamente sono analisi i cui risultati saranno evidenti a lungo termine e in prospettiva storica. Nel frattempo, è certo che ogni singolo individuo del pianeta sarebbe disposto ad accollarsi i costi della “ristrutturazione” sapendo che non ne godrà direttamente i benefici? E come la mettiamo con i paesi energivori che stanno accedendo ora a fonti economiche?
R. Nuovamente, si tratta di un problema reale e di grande complessità, chiaramente trattato anche in seno alle Conferenze delle Parti (COP): si tratta di redistribuire adeguatamente i costi della transizione energetica (ma anche i guadagni della stessa), sia tra diversi strati della popolazione sia tra Paesi diversi a diversi livelli di sviluppo. Non è un problema semplice, ma le COP fanno ogni sforzo per ripartire in modo adeguato e corretto i costi, così come i benefici, della transizione ecologica: c’è da sperare che questa sia un’opportunità per tutti, e non soltanto per pochi attori e pochi Paesi.
D. Utilizzando l’ottimo sito “Our World In Data”, da lei stesso impiegato per alcune ricerche, e si osservano gli andamenti del totale delle emissioni per l’Unione Europea, compresa la fuoriuscita Gran Bretagna, si osserva un’inversione di tendenza molto apprezzabile fin dagli anni ’80. Siamo passati dal produrre il 15% del totale al 5%. Come si spiega questa partenza anticipata, prima ancora che si palesasse lo spettro delle emissioni di gas serra?
R. Quali che siano le percentuali, che possono variare a seconda delle fonti, è indubbio che lo sforzo fatto dall’Unione Europea per la mitigazione delle proprie emissioni sia notevole, e probabilmente quello di maggior successo al mondo. La UE ha, in questo senso, un doppio vantaggio: è composta da economie forti (in senso assoluto e relativo, rispetto al resto del mondo), fortemente connotate verso l’innovazione, e in secondo luogo non ha, al proprio interno, Paesi con significative produzioni di combustibili fossili (quello principale era, appunto, il Regno Unito); conseguentemente, su questo tema specifico per la UE è più facile decidere ed agire verso la mitigazione delle emissioni.
D. Negli ultimi capitoli sono riportate asserzioni provanti la natura antropogenica del cambiamento climatico in atto, asserzioni indiscutibili, usando un aggettivo da lei più volte sottolineato; ovviamente nulla potremmo contro atteggiamenti preconcetti quali quelli che aveva Jeffreys nei confronti della Tettonica a Placche; ma la sensazione al termine della lettura è di sospensione, come se il libro si concludesse con gli abusati “tre puntini”. Agire, si ripete ovunque, presto e in modo radicale. In questo contesto, ad esempio, Lei e il suo gruppo di lavoro all’Università di Milano, cosa avete fatto, o proposto?
R. All’Università degli Studi di Milano mi occupavo di recupero di dati storici, della loro omogeneizzazione, e anche di proiezioni del clima del futuro, con particolare riferimento alle aree di montagna. Da allora, e tutt’ora per Poliedra-Politecnico di Milano, mi occupo di progetti applicativi dedicati alla sostenibilità delle aree di montagna, con particolare riferimento alla transizione ecologica e digitale: utilizzo delle energie rinnovabili, riconversione della mobilità, avvicinamento dei servizi, tutela delle aree protette, e soprattutto sensibilizzazione e presa di consapevolezza da parte delle popolazioni montane.
L’autore presenta il suo libro
La nostra relazione con il clima è, secondo un filosofo della scienza, ‘intima e personale come l’aria nei nostri polmoni’. E’ talmente intima e personale che da qualche anno curo in particolare la corretta divulgazione della stessa, cercando di ricostruire passo passo non soltanto cosa sappiamo del cambiamento climatico, del riscaldamento globale, delle cause antropogeniche di quest’ultimo, ma anche il ‘come facciamo a sapere’ quanto affermiamo e quali siano state le tappe, nella storia della scienza, che ci permettono di dire oggi come funzioni il sistema clima e chi lo stia cambiando.
Sono laureato in geologia e abituato a vedere un sistema naturale nel suo complesso e nel suo tempo profondo, e a considerare la varietà di fenomeni che determinano l’evoluzione del nostro pianeta: in questo libro ho proprio voluto dare uno sguardo geologico al cambiamento climatico, chiedendomi perché non possa essere un ciclo naturale, legato al sole, all’orbita, alla tettonica a placche, e su come facciamo invece a dire che no, siamo noi come specie umana a essere, al momento, la forza geologica principale che governa questo riscaldamento globale.
Ho voluto proporre come fil-rouge quello della scoperta e della scelta del nome della Groenlandia, sperando di raccontare al lettore anche aneddoti interessanti e coinvolgenti che permettano di avvicinarsi a un tema complesso, ma di fondamentale importanza per tutti noi. Buona lettura!