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“Il tempo della Terra. Come pensare da geologo può aiutare a salvare il mondo” di Marcia Bjornerud

a cura di Giacomo Milazzo

Recensione

How many years can a mountain exist, before it’s washed to the sea?
(Bob Dylan, 1963)
Per i geologi ogni affioramento è un portale verso un mondo precedente
(Marcia Bjornerud, 2018)

Nel 1788, quando James Hutton vide la discontinuità sullo sperone spazzato dalle onde di Siccar Point, sulla costa orientale della Scozia, cercò di immaginare gli eoni necessari per rimuovere una montagna, e concluse che il tempo geologico fosse infinito. Oltre 200 anni dopo, possiamo cronometrare la crescita e la distruzione delle montagne in tempo reale. La famosa discontinuità scozzese, che separa le rocce del Siluriano da quelle del Devoniano, rappresenta non l’eternità ma circa 50 milioni di anni, più che sufficienti per costruire e demolire una catena montuosa – per i continenti che si scontrano, per le faglie che scivolano e talvolta barcollano, per le gocce di pioggia che scolpiscono, per le cime che crollano e per la roccia del mantello che fluisce. Oggi possiamo persino osservare il funzionamento della Terra solida in tempo reale. Scopriamo che il ritmo naturale del pianeta non è così lontano dalla nostra stessa esperienza e che, infatti, questa vecchia sfera ha un grande repertorio di ritmi, compresi alcuni che ci lasciano senza fiato per la loro rapidità. Studiare le abitudini della Terra solida ci insegna a rispettare sia la potenza del cambiamento graduale, sia quella delle catastrofi episodiche che trasformano la faccia del globo.

La persistente convinzione ottocentesca che la Terra cambi solo lentamente ci ha indotto a pensare che sia impassibile ed eterna, e che nulla di ciò che facciamo potrebbe alterarla in modo significativo. Una visione che ci ha anche spinto a vedere aggiustamenti intermittenti della Terra che si svolgono in tempi alla portata dei sensi umani come irregolarità – la creazione di una nuova isola vulcanica che emerge dal mare, un terremoto devastante . Ma in realtà questi eventi sono ordinaria amministrazione per il pianeta. Da molto tempo siamo in grado di danneggiare la Terra, alterandone diversi aspetti, ma poi saremo noi stessi a dover convivere con il danno. La Terra, nel frattempo, continuerà a fare riparazioni lente, intervallate da improvvisi lavori di ristrutturazione che elimineranno le nostre costruzioni più superbe.

L’Autrice, splendidamente e con passione, ci accompagna in una sorta di metafora delle pergamene medievali, utilizzate più volte raschiando con cura il vecchio inchiostro per consentirne la riscrittura, ma che lasciava comunque tracce del contenuto passato, ricostruibile con pazienza e attenzione ai dettagli, così come le tracce delle epoche precedenti persistono nei contorni delle forme del terreno e delle rocce sottostanti.

La versione italiana del titolo non rende giustizia all’originale “Timefullness”, tradotto per lo più come pienezza. A mio giudizio il termine consapevolezza (del tempo) è decisamente più adatto ed esprime meglio quanto la conoscenza di questo Tempo Profondo sia uno degli straordinari traguardi della conoscenza. Non a caso la versione spagnola e tedesca usano rispettivamente Conciencia e Zeitbewusstheit, in entrambi i casi traducibili in “consapevolezza”.

Ed è questa consapevolezza del tempo, la scoperta che gli eventi del passato sono ancora presenti, e che quanto accaduto in passato potrebbe ripresentarsi in futuro che ci insegna come il mondo sia fatto dal – anzi, fatto di – tempo.

Gli esseri umani, soprattutto nelle moderne culture occidentali, sembra soffrano di una sorta di cronofobia, con una naturale avversione al tempo amplificata da una cultura che lo inquadra come un nemico da sconfiggere: dai trattamenti al botox agli economisti con le loro pretese di avere più rendimento con meno risorse ed in meno tempo…crescita infinita su un pianeta a risorse, anche temporali, finite! La maggioranza degli esseri umani, compresi quelli delle nazioni più ricche e avanzate, non hanno il senso delle proporzioni temporali. Come specie, abbiamo un’infantile indifferenza e una parziale incredulità riguardo al tempo precedente alla nostra comparsa sulla Terra e quando si ha comunque a che fare con la gestione del tempo gli anni fiscali e le scadenze politiche impongono una visione cieca del futuro, incapaci di elaborare piani che vadano oltre pochi anni, il più delle volte cicli appena biennali. Ci sono poi altri tipi di tentativi di negazione, quali quelle pseudoscientifiche come i movimenti legati allo Young-Earth Creationism (il creazionismo della Terra giovane).

Anche il mondo scientifico ha le sue responsabilità, per aver creato una sottile aura di negazione del tempo nel modo in cui privilegia alcuni tipi di ricerca. La fisica e la chimica in testa, designate come scienze “esatte” ed essenzialmente atemporali. In fisica quantistica addirittura il tempo potrebbe non esistere affatto, ed in quella galileiana che sia positivo o negativo non cambia il senso delle equazioni, Einstein affermava che la distinzione tra passato, presente e futuro è solo un’illusione).

Per contro i campi della biologia e della geologia occupano da sempre i gradini più bassi nella scala accademica, in quanto “inesatte”, prive delle inebrianti sfumature di certezza e immerse nelle pieghe del tempo. Se poi la biologia è stata nobilitata dalla sua parte molecolare l’umile geologia non ha mai raggiunto lo scintillio delle altre scienze, non ha nemmeno un premio Nobel, non esiste nemmeno la categoria, ed ha un’immagine pubblica noiosa e ammuffita.

Entrambe comunque, vivono e hanno da sempre avuto bisogno e consapevolezza del Tempo Profondo.

Ed è ancora il mondo accademico a metterci del suo nel modo di comprendere il nostro posto nel tempo, con quel rapportare i 4,5 miliardi di anni di storia della Terra a 24 ore, con tutta la storia dell’umanità sviluppatasi nell’ultima frazione di secondo prima della mezzanotte. Una proporzione concettualmente sbagliata e addirittura irresponsabile. Primo perché comunica un certo livello di insignificanza e di perdita di valore che non solo è psicologicamente alienante, ma che ci consente anche di ignorare l’entità dei nostri effetti sul pianeta in quella frazione di secondo, anzi, nonostante quella sola frazione di tempo! Inoltre nega le nostre profonde radici e il nostro legame con la storia della Terra; il nostro specifico gruppo potrà non essersi presentato fino a quando l’orologio non ha segnato la mezzanotte, ma la nostra famiglia estesa di organismi viventi è stata in giro almeno dalle sei del mattino! E se il futuro è apocalitticamente negato, cosa accadrà dopo la mezzanotte?

Al giorno d’oggi dovremmo aver ben imparato che trattare il pianeta come se fosse un oggetto passivo, semplice e prevedibile, in un laboratorio controllato, è scientificamente inaccettabile. È ora che tutte le scienze adottino lo stesso rispetto che ha la geologia – e in parte anche la biologia – per il tempo e la sua capacità di trasfigurare, distruggere, rinnovare, amplificare, erodere, propagare, intrecciare, ricreare e sterminare.

Probabilmente non smetteremo mai di preoccuparci del tempo, ma potremmo imparare ad amarlo, trovare una via di mezzo tra cronofobia e cronofilia, sviluppare il senso della consapevolezza del tempo, una visione del nostro posto nel tempo, sia per il passato che venne molto prima di noi sia per il futuro che si svolgerà senza di noi: una capacità di percepire lontananza e vicinanza nella geografia del Tempo Profondo. Concentrarsi solamente sull’età della Terra è come descrivere una sinfonia nei termini del totale delle sue battute. Senza il tempo la sinfonia è solo un cumulo di suoni; sono la durata delle note e la ricorrenza dei temi a darle forma, in maniera simile alla grandiosità della storia della Terra che giace nei ritmi che si sviluppano gradualmente tra loro interconnessi, con i suoi tanti movimenti, con brevi motivi erranti sopra le melodie che risuonano per tutto il corso della storia del pianeta. Siamo imparando che il tempo di molti processi geologici non è decisamente il larghissimo come si pensava un tempo: le montagne crescono con ritmi che possono essere misurati in tempo reale e il ritmo accelerato dai sistemi climatici sorprende persino quelli che li hanno studiati per decenni.

L’autrice ha scritto questo libro nella speranza che se più persone capissero la nostra storia, il destino che condividiamo come abitanti della Terra, potremmo trattare meglio sia il nostro prossimo, sia il pianeta. In un tempo il cui mondo appare più che mai profondamente diviso da temi religiosi e animosità politiche, sembrerebbe esserci poca speranza di trovare una filosofia comune o una lista di principi in grado di portare tutte le fazioni a un tavolo per discutere onestamente di problemi ambientali, sociali ed economici sempre più ingestibili. L’ultima COP ne è un esempio.

Il patrimonio comune della geologia potrebbe ancora permetterci di cambiare il nostro modo di pensare questi temi in una forma completamente nuova. Gli scienziati della natura operano come una sorta di estemporaneo corpo diplomatico internazionale che dimostra come sia possibile, per persone dei paesi sviluppati e di quelli in via di sviluppo virgola di regimi socialisti e sistemi capitalistici, di teocrazie e democrazie, cooperare, discutere, essere in disaccordo e muoversi verso un consenso, uniti dal fatto che siamo tutti cittadini di un pianeta la cui tettonica e le abitudini idrologiche e atmosferiche ignorano i confini nazionali. Con ogni probabilità la Terra stessa, con la sua storia immensamente lunga, può fornire una narrazione politicamente neutra, da cui tutte le nazioni potrebbero essere d’accordo nel farsi consigliare.

Per molti qui, forse la maggioranza, ovvero noi geologi, leggere questo libro sarà anche un po’ ripercorrere gli anni all’Università, quando giorno dopo giorno, esame dopo esame, si andava alla ricerca del significato vero e delle conseguenze del Tempo Profondo che solo la geologia e la biologia evoluzionistica, così strettamente legata alla storia della Terra, sanno dare.

E infine, diciamolo, un libro che parlasse esclusivamente di Scienze della Terra, in questa rubrica, ci voleva!

Nota: indubbiamente sono state scritte moltissime biografie geologiche del nostro pianeta, ma questo libro presenta un’interpretazione unica di questo genere.

Marcia Bjornerud è una geologa strutturale la cui ricerca si concentra sulla fisica dei terremoti e sulla formazione delle montagne. Combina studi sul campo della geologia del substrato roccioso con modelli quantitativi di meccanica delle rocce. Ha svolto ricerche nell’alta Norvegia artica (Svalbard) e in Canada (Isola di Ellesmere), così come nella Norvegia continentale, in Italia, in Nuova Zelanda e nella regione del Lago Superiore.

Bjornerud è una Fellow della Geological Society of America ed è stata una Fulbright Senior Scholar presso l’Università di Oslo, Norvegia e l’Università di Otago, Nuova Zelanda. Scrittrice collaboratrice di The New Yorker , Wired, il Wall Street Journal e il Los Angeles Times , è anche autrice di diversi libri divulgativi: Reading the Rocks: The Autobiography of the Earth ;   Timefulness: How Thinking Like a Geologist Can Help Save the World e Geopedia: A Brief Compendium of Gelogic Curiosities; Turning to Stones. Timefulness è stata inserita nella longlist del PEN/EOWilson Prize for Literary Science Writing del 2019 ed è stata finalista per il LA Times Book Prize in Science and Technology.

L’Autrice ci racconta il suo libro
Selezione dai capitoli
  1. Introduzione al testo e premesse generali
  2. Racconta la storia di come i geologi abbiano mappato l’oceano del tempo prima qualitativamente usando i registri fossili, poi con crescente precisione quantitativa attraverso il fenomeno della radioattività naturale è l’unico capitolo con aspetti, per i non tecnici, i cui dettagli possono essere saltati senza perdere il filo. La scala del tempo geologico è un traguardo intellettuale sottovalutato è frutto di cooperazione, ed è tuttora un lavoro in corso. Notevole il racconto di come le datazioni basate sui rapporti isotopici abbia fornito le necessarie certezze, e di come il pensiero geologico si sia evoluto nel tempo.
  3. Tratta i ritmi intrinsechi della terra solida – il passo della tettonica e dell’evoluzione del paesaggio, come una visione geologica ci richieda di abbandonare qualunque convinzione sull’immutabilità dei rilievi topografici. I processi geologici potranno anche essere lenti ma non sono al di là della nostra percezione. E una delle intuizioni più importanti che emergono dal cronometraggio della Terra è che i tassi di diversi processi naturali, dalla crescita delle montagne, all’erosione, fino all’adattamento evolutivo – ciascuno alimentato da diverse forze motrici – sono sorprendentemente ben abbinati. La costruzione e la demolizione di montagne, continenti, o la trasformazione di semplici paesaggi, spesso raccontata dalle rocce esposte sulla superficie.
  4. Tratta l’evoluzione dell’atmosfera e i tassi di cambiamento nella sua composizione nel corso di sconvolgimenti ambientali ed estinzioni di massa nella storia geologica. Ripercorrendo lo stretto rapporto tra evoluzione della vita e composizione atmosferica il racconto dei cambiamenti si affianca a quello delle strette relazioni con la dinamica del pianeta. Un tema ricorrente è quello dei lunghi periodi di stabilità planetaria terminati bruscamente in passato, quando i tassi di cambiamento ambientale hanno superato i limiti nella capacità di adattamento per la biosfera, e solo in un caso possiamo attribuire la colpa, ancorché parziale, ad un evento extraterrestre. Un percorso affascinante attraverso eventi epocali.
  5. Dedicato ai ritmi grandemente accelerati dei cambiamenti recenti, alle loro cause antropogeniche, il capitolo inizia con la scoperta dell’era glaciale nel XIX secolo e spiega come la moderna comprensione dei cambiamenti climatici sia gradualmente emersa da lì. Il Pleistocene non fu un semplice intervallo di freddo costante, ma più di due milioni di anni di variabilità climatica. Fu la transizione di 10.000 anni fa verso l’Olocene, stabile climaticamente, a consentire l’avvento della moderna civiltà umana, la rivoluzione del Neolitico. E ancora una volta la consapevolezza del passato, alla luce degli attuali tassi di cambiamento ambientale, praticamente senza precedenti nel tempo geologico, desta preoccupazione e ha posto la base per la tesi secondo cui ora ci troviamo in un’epoca degna di avere un nome tutto suo: l’Antropocene.
  6. Infine, uno sguardo sul futuro geologico a tracciare idee su come costruire una società più robusta, illuminata ed istruita sul tempo e che sia in grado di prendere decisioni su scala planetaria ed estesa nel tempo, intergenerazionale, in un futuro tutto sommato non troppo lontano da sembrare fantascienza e quindi quasi del tutto prevedibile. Un cambiamento di sensibilità e, ancora, la consapevolezza del nostro posto nell’Universo e nel tempo. In modo simile, l’osservazione geologica fornisce una visione dello strano e scintillante mondo del Tempo Profondo in cui viviamo, ma che solitamente non siamo in grado di vedere. Anche un semplice sguardo può alterare l’esperienza di essere vivi sulla Terra.

Il contenuto delle tre appendici finali impreziosisce il tutto. Una versione semplificata della scala cronologica del pianeta nella prima; durate, ritmi e intervalli di ricorrenza di molti fenomeni geologici riassunti nella seconda; e infine nella terza cause e conseguenze di otto grandi crisi ambientali a confronto, compreso quanto oggi avviene.