
a cura di Giacomo Milazzo
Recensione
Sbarazziamoci subito di un facile equivoco. L’Autore non vuole raccontarci di com’era il clima nel passato né proporci l’ennesimo saggio di climatologia. Sarà invece un viaggio lungo più o meno 5.000 anni a raccontare la storia complessa e mutevole della climatologia, una scienza della natura antica quanto la civiltà umana.
Nel Sesto Rapporto sul Clima dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), pubblicato nell’agosto del 2021, si afferma: «È inequivocabile che l’influenza umana ha riscaldato l’atmosfera, l’oceano e le terre emerse». Le prove ed i segni lasciati dal riscaldamento globale senza precedenti, almeno negli ultimi 2000 anni, sono ormai talmente tanti che un abitante del pianeta Terra dei primi decenni del XXI troverebbe ovvia questa frase; ma soprattutto questi hanno semplificato la vita degli scienziati. Ben pochi tra loro oggi negano che vi sia un’interferenza degli esseri umani con il clima del loro pianeta.
Ma non è sempre stato così, e l’Autore ricostruisce questa storia, racconta dalle origini il rapporto della civiltà umana con l’atmosfera, il tempo meteorologico, le sue variazioni. Ci parla di come è nato il concetto stesso di clima, dell’evoluzione di meteorologia e climatologia da discipline descrittive e compilatorie usate per la navigazione, la guerra, e l’agricoltura, a scienze moderne e ramificate. Ci parla degli scienziati e delle scienziate che hanno accompagnato questa evoluzione, di come passo dopo passo sono riusciti a capire teoricamente il meccanismo con cui avremmo potuto modificare il clima globale, di come in seguito hanno trovato dati osservativi che confermavano la teoria.
Un viaggio lungo e affascinante, quanto poco noto.
Di solito quando si parla di cambiamento climatico ci si sofferma sugli ultimi 50 anni, o sull’ultimo secolo. Non senza ragioni: nell’ultimo secolo c’è stata la grande accelerazione, con cui le attività umane hanno lasciato segni impressionanti e per molti aspetti irreversibili su tutti i comparti ambientali, sugli ecosistemi, sul clima planetario. Tre quarti delle emissioni di gas serra sono state emesse negli ultimi 50 anni, metà negli ultimi 30 anni.
È ormai chiaro che siamo in ritardo, abbiamo perso tanto, troppo tempo nella lotta al cambiamento climatico. I motivi di questi ritardi sono tanti; uno di certo è la vastità e complessità della questione, le sue molteplici sfaccettature, la difficoltà per noi Sapiens di affrontare temi su scala globale e su scale temporali millenarie. Oggi sappiamo che l’estensione dei ghiacci dell’Artico durante le ultime estati è stata la più bassa degli ultimi 1000 anni, sappiamo che la riduzione dell’estensione dei ghiacciai terrestri non ha precedenti negli ultimi 2000 anni, che l’aumento medio del livello del mare è cresciuto a una velocità mai prima sperimentata negli ultimi 3000 anni. Sappiamo, anche se è una conoscenza meno diffusa, del gemello nascosto del riscaldamento globale, l’acidificazione delle acque dei mari, che sempre secondo l’IPCC sta procedendo a una velocità mai vista almeno negli ultimi 26.000 anni. Questo sapere però fatica a tradursi in azioni decise e incisive. Il sistema dei combustibili fossili è diffuso capillarmente, si è radicato nei meandri del sistema economico e politico in più di un secolo. Dopo un paio di secoli di sviluppo impetuoso, molti dubitano sia possibile metterlo da parte in pochi decenni. Si percepisce facilmente una sfiducia diffusa sulla possibilità di un’azione rapida e incisiva in grado di limitare l’entità delle future variazioni climatiche. E il discorso sul cambiamento climatico si è fatto pesante, fosco: ormai si discute di come evitare la catastrofe globale, di come i giovani possano lottare per un futuro in cui il clima non porti drammatiche devastazioni; un movimento di attivisti di successo si è dato il nome ribellarsi all’estinzione. E se da un lato la minaccia di un’estinzione globale della specie umana va al di là degli scenari descritti dalla scienza, c’è all’estremo opposto chi ancora nega l’evidenza scientifica delle variazioni climatiche, o delle responsabilità umane, ponendosi su un piano non scientifico in cui non c’è spazio per l’analisi e la complessità, per la fluidodinamica o la termodinamica. Il negazionismo climatico per fortuna è sempre meno rilevante e influente, ma fra le cause della sua marginalizzazione c’è non solo il lavoro di tanti scienziati e comunicatori, bensì anche, e purtroppo, i segnali del pianeta surriscaldato, gli incendi, le alluvioni, le ondate di calore.
È in questo contesto che può essere utile riflettere sulla storia del nostro rapporto con il clima, nei millenni della nostra civiltà, o su come lentamente e caparbiamente si è riusciti ad accumulare quella mole di conoscenze che permette oggi di scrivere gli inequivocabile e i senza precedenti.
Le storie del clima raccontate in questo libro potrebbero servire per recuperare un po’ di quell’umiltà necessaria per affrontare la crisi climatica, da accompagnare all’ambizione e alla creatività che hanno sorretto molte delle figure raccontate in queste pagine, fin dai primi osservatori del cielo nei villaggi della Mesopotamia.
Un libro quindi che nasce proprio dalla centralità della climatologia nel discorso scientifico attuale e si propone di raccontare alcuni degli aspetti principali della storia della climatologia, dell’evoluzione della sua definizione nel corso dei millenni, del dialogo complesso che ha avuto con la meteorologia e del definitivo consacrarsi del concetto di cambiamento climatico globale come fulcro del dibattito scientifico e politico del XXI secolo, fino alla sua moderna ambizione di guardare al di là dell’atmosfera terrestre e di accompagnarci a investigare la presenza di vita oltre la Terra.
C’è un elenco che comprende ad oggi 207 termini linguistici di base (Lista di Swadesh): è utilizzato nella linguistica storico-comparativa per indagare i legami di parentela tra lingue diverse, e comprende termini relativi alle parti del corpo, alle azioni più semplici come il camminare, il mangiare o il cadere. Ci sono anche termini meteorologici, climatici, o ambientali, come pioggia, vento, neve, nebbia, nuvola, insieme naturalmente a Sole e acqua e a concetti come caldo, freddo, umido e secco: in sostanza, da quando esiste il linguaggio, l’umanità parla del tempo (meteorologico). E il clima è l’integrale nel tempo cronologico del tempo meteorologico o, per dirla con Edward Lorenz, il famoso matematico e meteorologo, «Il clima è ciò che ti aspetti, il meteo è ciò che ottieni».
Ed è alla storia della climatologia o, meglio, alle tante storie che hanno a che fare col clima, che l’Autore dedica questo saggio, breve ma ricco di informazioni.
Il clima (κλίμα) all’inizio era semplicemente un’inclinazione: per Eratostene di Cirene (colui che calcolò la circonferenza della Terra) il clima era il valore dell’inclinazione dell’asse terrestre e il conseguente angolo che il Sole forma con la Terra, diverso a seconda delle zone geografiche in cui ci si trova, zone geografiche che a loro volta assumono il nome di ‘climi’. E fu proprio grazie a quell’angolo misurato in luoghi diversi lo stesso giorno che il geografo greco, già nel II secolo pev, riuscì a calcolare la circonferenza della Terra. Da allora la climatologia ha ispirato presagi sul destino dei re, divinazioni e ha descritto e determinato culture e società, ha navigato sui mari e si è incagliata tra i ghiacci, ha riempito di numeri annuari polverosi, ha conquistato gli strati più alti dell’atmosfera e si è dotata di equazioni e leggi. E oggi siede ai tavoli dove si prendono decisioni complesse sul futuro del pianeta.
Ma non finisce qui: come nella trattazione meteorologica congiunta di fenomeni atmosferici e fenomeni astronomici di richiamo antico, così la climatologia riecheggia anche negli osservatori astronomici dai quali l’umanità alza gli occhi al cielo per investigare l’abitabilità, e dunque il clima, degli altri pianeti e le affida l’obiettivo ambiziosissimo di darci informazioni sulla possibile presenza di vita extraterrestre.
Il compito che la lunga e articolata storia della climatologia assegna alla nostra epoca è quello di trasformare questa disciplina nella scienza della protezione del clima terrestre, per il beneficio delle generazioni presenti e future. Questa scienza deve riflettere la necessità di acquisire una conoscenza approfondita del sistema climatico e di affrontare e mitigare il riscaldamento globale antropogenico. Seneca, Lucrezio, il tao cinese, la letteratura dell’Età dell’Oro Islamica, quella indiana, fin dall’antichità ricercano e auspicano l’equilibrio tra uomo e natura, un equilibrio che si rifletta nel clima del nostro pianeta, in una sorta di metabolismo equilibrato tra clima e società; fin dai primi passi come scienza autonoma, soprattutto a partire dalla seconda metà del XIX secolo, questa ricerca di equilibrio era implicita nei richiami di Eunice Newton Foote, che già nel 1856 presenta all’American Association for the Advancement of Science un breve editoriale, non più lungo di due pagine, con il semplice titolo di “Circostanze che influenzano il calore dei raggi del Sole“. In modo rivoluzionario per l’epoca, l’editoriale è opera di una donna! In una frase diventata storica per la scienza del clima, la Foote conclude il suo breve ma rivoluzionario editoriale enunciando: «Un’atmosfera di quel gas [biossido di carbonio] darebbe alla nostra Terra temperature alte; e se, come qualcuno suppone, in un periodo della nostra storia, l’aria fosse mescolata ad esso in una proporzione più grande che nel presente, inevitabilmente vi sarebbe una temperatura più alta per via della sua azione, così come per via del suo peso».
A seguire Tyndall, Arrhenius, Callendar, e poi l’equilibrio e le sue alterazioni, chiaramente esplicitati da Revelle e Suess, Hansen e Mann. Sempre più fortemente, ai giorni nostri, la climatologia richiama all’urgenza dei report dell’IPCC pur dovendo ammettere che le ultime COP (Conferenze delle Parti) non hanno ottenuto la risonanza mondiale di un tempo (un mio commento su due tra le ultime qui).
Se la climatologia proteggerà il clima terrestre, diventerà la scienza dell’equilibrio tra civiltà umana e clima del pianeta.