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“La sesta estinzione. Una storia innaturale” di Elizabeth Kolbert

a cura di Giacomo Milazzo

Recensione

«Il libro definitivo sulla storia della Terra» (David Quammen, saggista e divulgatore scientifico)
«Modificare il corso dell’attuale estinzione richiederebbe cambiamenti paragonabili a quelli dell’attuale Antropocene. Di recente ho parlato con un entomologo dell’Università del Connecticut di come vede il futuro. Sotto certi aspetti è molto più ottimista di me: “Risolveremo questa crisi climatica” mi ha detto. “Decarbonizzeremo”. Poi, però, ha aggiunto: “Sarà troppo tardi per molti degli organismi che amo”». (estratto dal libro)

Mettetela come volete, la Commissione Internazionale per la Stratigrafia ha sentenziato che non esiste come epoca geologica, non ne ha i requisiti, o non è chiaro quando farla iniziare, ma l’Antropocene è un dato di fatto, ed è con questa che è iniziata la Sesta Estinzione o, se volete, è quest’ultima estinzione a marcarne l’inizio.
In questa nuova edizione, a distanza di 10 anni dalla precedente, non è molto ciò che è stato aggiunto, a parte ovviamente un nuovo Epilogo, e ci si accorge immediatamente della cosa perché è l’unica parte del libro che racconta di eventi posteriori al 2014. Dieci anni per il progresso scientifico, con i ritmi attuali, sono tantissimi, e molte sono le cose che andrebbero riviste o aggiornate, studi citati in divenire ormai compiuti, risposte a domande restate appese allora, e altro ancora. Ciò nonostante il libro rimane sempre entusiasmante e più che documentato, intessendo con grazia informazioni e divulgazioni squisitamente scientifiche con aneddoti e racconti di esperienze personali vissute dall’autrice sul campo, insieme ai protagonisti della ricerca.
Ovviamente nel volume molti dei suoi tredici capitoli, più un epilogo, sono dedicati all’estinzione (o alla quasi estinzione), prendendo ad esempio organismi individuali, ma il vero soggetto di questo lavoro è il modello al quale tutti questi casi aderiscono.
Quel che l’autrice fa è cercare di tratteggiare un evento di estinzione – la si chiami Estinzione dell’Antropocene o Sesta Estinzione di massa – e collocarlo nel più ampio contesto della storia della vita sul pianeta. Si tratta di una storia che non è strettamente uniformitarista né strettamente catastrofista, ma, piuttosto, un ibrido tra le due prospettive. Ciò che tale storia rivela, nei suoi alti e bassi, è che la vita è dotata di una resilienza estrema, ma non infinita. Ci sono stati lunghissimi lassi di tempo privi di qualsiasi evento e delle occasionali, molto rare, «rivoluzioni sulla superficie della Terra».
Ogni evento di estinzione di massa sul pianeta, e gli scienziati ne hanno individuati cinque principali, a partire da circa 450 milioni di anni fa, ha avuto le sue cause specifiche: glaciazioni, riscaldamento globale, cambiamento del chimismo degli oceani, giganteschi fenomeni vulcanici estesi nel tempo e nello spazio, impatti con asteroidi ed altro ancora. L’estinzione attualmente in corso ha le sue nuove cause specifiche, nulla di quanto accadde in passato: ora abbiamo «una specie infestante». Stiamo osservando oggi che un’estinzione di massa può essere causata dall’essere umano.
Il cambiamento è l’unica caratteristica in comune o, meglio, il tasso di cambiamento. Quando il mondo cambia più in fretta di quanto possano adattarsi le specie, molte di queste soccombono, soprattutto quelle che stavano facendo perfettamente ciò che meglio sapevano fare, finché le regole del gioco dell’evoluzione non vengono cambiate. E la velocità con cui tutto ciò sta avvenendo, al pari del cambiamento climatico che è inequivocabilmente di origine antropogenica, non ha precedenti nella storia del nostro pianeta. Non solo, a differenza del primo, collocabile approssimativamente a partire dall’avvento dell’era industriale, questa estinzione di massa è partita più o meno 200.000 anni fa, con la comparsa di Homo sapiens.
Per quanto le iniziative affinché si possa evitare tutto questo siano numerose e lodevoli, non conta che le persone dovrebbero interessarsene di più o che siano disposte a fare sacrifici: per quanto non sia sbagliato non conta poi tanto se le persone si preoccupano o meno. Ciò che conta davvero è che le persone cambiano il mondo.

«Se un pericolo c’è nella traiettoria umana, non risiede tanto nella sopravvivenza della nostra specie, quanto nel concludersi dell’estrema beffa dell’evoluzione organica: proprio nel momento in cui raggiunge la piena comprensione di sé attraverso il pensiero dell’uomo, la vita condanna a morte le sue creature più belle.» (Edward O. Wilson)
Infine, citando l’autrice, ricordo che «la ragione per cui questo libro è stato scritto da un bipede munito di peli, e non da uno ricoperto di squame, ha più a che fare con la disgraziata sorte dei dinosauri che con una qualunque particolare virtù dei mammiferi

Approfondimento

«Gli inizi, si dice, tendono a restare avvolti nell’ombra. È il caso di questa storia, che comincia con la comparsa di una nuova specie animale, forse duecentomila anni fa. La specie in questione non ha ancora un nome- nulla ha, ancora, un nome-, ma possiede la capacità di dare un nome alle cose

Nell’edizione precedente il libro ha in copertina una rana gialla, sullo sfondo di una metropoli inquinata. Nell’edizione 2024 il disegno di un’ammonite eseguito dal grande naturalista tedesco Ernst Haeckel nel 1899. Nel primo caso si tratta della rana d’oro di El Valle de Antón, una cittadina al centro dello Stato di Panama. La rana è ormai quasi estinta. Se sopravvive, insieme ad altri anfibi altrettanto rari, lo dobbiamo al lavoro svolto da decenni dal Centro di Conservazione degli Anfibi di El Valle (EVACC), dove gli animali sono isolati in edifici piene di vasche; ogni vasca riservata alle rane d’oro ha una propria sorgente di acqua corrente, così che gli animali possano riprodursi e proliferare accanto a un simulacro dei torrenti che un tempo erano il loro habitat.

Un approfondimento sull’EVACC è disponibile sul blog dell’editore, dove è possibile leggere un ampio estratto del primo capitolo del libro.

Oggi gli anfibi godono del discutibile privilegio di essere la classe di animali più a rischio sul pianeta: stiamo perdendo tutti questi anfibi ancora prima di venire a sapere della loro esistenza. E moltissimi altri gruppi stanno raggiungendo livelli allarmanti: si stima che un terzo del totale dei coralli che costituiscono la barriera corallina, un terzo di tutti i molluschi di acqua dolce, un terzo degli squali e delle razze, un quarto di tutti i mammiferi, un quinto dei rettili e un sesto di tutti gli uccelli siano destinati a scomparire.

La rana d’oro è il primo animale che incontriamo nel libro della Kolbert, e nell’epilogo ci racconta che l’ultimo esemplare di raganella arboricola dagli arti orlati, nota come rana di Rabb, una delle specie che l’autrice ha incontrato all’EVACC,  è morto un paio d’anni dopo la pubblicazione della prima edizione. Così come sono morti il rinoceronte di Sumatra, femmina, dello zoo di Cincinnati; uno degli ultimi corvi delle Hawaii, alla veneranda -per lui- età di 29 anni, uno degli ultimi ancora vivi, tutti in cattività; l’ecatombe di pipistrelli del nord America prosegue, causata da un fungo; la foresta amazzonica continua a ridursi e alla via così.

Tornando per un momento ai rinoceronti, ricordo che la strage indiscriminata di questi animali dipende anche dalla leggenda che la polvere dei loro corni sia miracolosa, tanto che in alcuni club esclusivi del sudest asiatico c’è chi la sniffa come fosse cocaina. Sapete di cosa è fatto un corno di rinoceronte? Di cheratina. Come le unghie…

Nei capitoli successivi si troveranno altri animali, analizzati individualmente, e ogni capitolo è dedicato a loro, se non alla memoria. Troveremo l’alca gigante, il pinguino originario, che con i pinguini non ha nulla a che fare, estinto nell’Ottocento; fossili di ammoniti, granchi, molluschi, pipistrelli, rinoceronti, marsupiali; ma anche alberi e piante; e un nostro parente stretto, Homo neanderthalensis. Tutte storie di estinzioni, già avvenute o attualmente in corso, raccontate in modo interessante, piacevole e scientificamente documentato, conducendo il lettore in luoghi remoti e vicini e facendolo dialogare con biologi, zoologi, chimici, geologi, fisici.

E non è un caso che l’edizione 2024 abbia un’ammonite in copertina. Animali marini comparsi circa 400 milioni di anni fa, e che per decine di milioni di anni hanno popolato qualsiasi mare, dai poli all’equatore, con zone talmente ricche dei loro esemplari che ancora oggi rinvenirne i loro resti fossili è piuttosto comune. E poi, circa 65 milioni di anni fa, scomparsi, senza lasciare discendenti noti. E insieme a loro scomparve approssimativamente l’80% delle specie animali e vegetali del Cretaceo, tra cui i dinosauri non aviani.

Elizabeth Kolbert ricostruisce anche un’altra storia: quella del concetto di estinzione, una storia relativamente recente e purtroppo, parafrasando l’autrice, il primo concetto scientifico con cui devono vedersela i bambini di oggi giocando con i pupazzetti di dinosauri. E’ stato un concetto che ha richiesto parecchio tempo e incontrato non poche difficoltà, se non rifiuti assoluti, fino alla metà del XIX secolo. Aristotele scrisse una Storia degli animali in dieci libri senza mai prendere in considerazione quest’idea. E’ solo con Cuvier e grazie ai suoi studi sui fossili animali, all’inizio dell’Ottocento che l’idea di estinzione comincia ad essere presa in considerazione; quasi di pari passo con gli studi sul concetto di evoluzione. Cuvier era un cosiddetto fissista, non un trasformista, come si diceva all’epoca, anche se pensava che il corso della natura fosse in certe occasioni sconvolto da catastrofi; ampio spazio viene dato ovviamente all’operato importantissimo in tal senso di scienziati come Lyell, Darwin e Wallace. Fino ai sempre più raffinati studi paleontologici contemporanei che hanno evidenziato nella storia della vita sul nostro pianeta almeno cinque estinzioni di massa: le cosiddette Big Five, come vengono chiamate.

Nella seconda metà del XX secolo Paul Crutzen conia il termine Antropocene, limite tutt’altro che simbolico tra il prima e il dopo della comparsa di Homo sapiens sulla Terra. Ed è in questa epoca che il pianeta rischia la sesta estinzione di massa. «Sembra appropriato assegnare al tempo presente il termine Antropocene, un’epoca geologica sotto molti aspetti dominata dall’uomo», scrive Crutzen, indicando i seguenti motivi della rilevanza geologica dell’uomo: l’attività umana ha trasformato da un terzo a metà della superficie del pianeta; la maggior parte dei principali corsi d’acqua è stata arginata o deviata; le fabbriche di fertilizzanti producono più azoto di quanto ne venga fissato in natura da tutti gli ecosistemi terrestri; le industrie ittiche rimuovono più di un terzo della produzione primaria delle acque oceaniche costiere; l’uomo usa più della metà delle risorse accessibili di acqua sorgente al mondo; l’uomo ha alterato la composizione dell’atmosfera.

Homo sapiens è forse sul punto di causare una catastrofica crisi biologica, o lo sta già facendo: la sesta estinzione di massa, appunto. Un cartello esposto nella Sala della Biodiversità dell’Università di Stanford dice: «portando all’estinzione le altre specie, il genere umano sta recidendo il ramo su cui esso stesso si posa».

Lascio la conclusione alle parole dell’autrice, «Ovviamente il destino della nostra specie ci preoccupa in misura esagerata. Ma a rischio di suonare antiumana – eppure ve lo giuro, molti dei miei migliori amici sono umani! – dirò che non è questa, in fin dei conti, la cosa di cui vale la pena occuparsi di più. Proprio ora, in quel magnifico momento che è per noi il presente, ci troviamo a decidere, senza quasi volerlo, quale percorso evolutivo rimarrà aperto e quale invece verrà chiuso per sempre. Nessun’altra creatura si è mai trovata a gestire nulla di simile, e sarà, purtroppo, il lascito più duraturo della nostra specie […] molto dopo che ciò che l’uomo ha scritto e dipinto e costruito sarà ridotto in polvere».

Selezione dai capitoli

Potete trovarne una ben fatta su Wikipedia, anche se mancante dell’Epilogo aggiunto nell’edizione 2024. Un capitolo questo pressoché completamente dedicato all’ecatombe che sta coinvolgendo da decenni gli insetti, misurata e documentata, qualcosa come un milione di specie di organismi che costituiscono probabilmente solo una piccola parte di quelli esistenti in natura; organismi che popolarono per primi la terra oltre 400 milioni di anni fa e che assumono ruoli fondamentali per l’esistenza stessa della vita. Ciò nonostante, continuano ad essere poco noti e ancor meno studiati. Si conoscono tutte le specie di uccelli e oltre il 90 percento delle specie di mammiferi, mentre le specie di insetti classificate sono appena l’1 percento.
Per dirla con le parole del famosissimo biologo Edward O. Wilson: «Se tutta l’umanità dovesse scomparire, il mondo tornerebbe al profondo stato di equilibrio che esisteva 10.000 anni fa. Se a scomparire fossero gli insetti, l’ambiente sprofonderebbe nel caos».

Link alla pagina Wikipedia

Intervento video

L’autrice racconta il suo libro in un intervento su Google Talks. Anche se relativo all’edizione precedente il racconto che ce ne fa è più che attuale.
(in inglese)

Di estinzione in estinzione…

Stephen J. Gould, evoluzionista di Harvard, nel suo libro “La vita meravigliosa” sosteneva che, se potessimo riavvolgere il nastro dell’evoluzione della vita sulla Terra, e schiacciare play nuovamente, difficilmente otterremmo lo stesso film. Interrogarsi sul perché l’evoluzione biologica abbia seguito certe strade invece di altre è evidentemente di cruciale importanza perché mette in discussione l’origine dell’umanità stessa, ma insistere sul tema diventa presto troppo metafisico, per me. Preferisco concentrarmi sul colossale colpo di fortuna che ha portato fino a qui.

(continua)

di Giacomo Milazzo. 8 giugno 2024