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“Palermo sotterranea. Architetture e strutture ipogee, manufatti d’acqua tradizionali” di Pietro Todaro

a cura di Giacomo Milazzo

Recensione

Qualunque città al mondo, che sia per nobili intenti oppure seguendo concrete necessità, è sottoposta al moto incessante delle trasformazioni urbane; e le città giungono sino a noi grazie ad esse, e non nonostante. E per mezzo delle loro trasformazioni a volte divengono persino eterne, attraverso le loro stratificazioni nel tempo, i cui misteri ci sono svelati da minuziosi e pazienti lavori di indagine storica ed archeologica, non disgiunti da almeno una dozzina di altre discipline.

E cosa c’è di più misterioso, perso nei tempi, e spesso nella memoria di chi vive la propria quotidianità magari a pochi metri da quanto realizzato nel sottosuolo, che sia per causa naturale o antropica?

Una città raramente nasce per caso, ma è quasi sempre fondata in base ad un collegamento col territorio che la accoglie, che le fornisce le risorse per svilupparsi. Oltre a quanto avviene in superficie, che cambia col tempo strato dopo strato, spianando e rifondando, riciclando il vecchio col nuovo, molto spesso esiste uno sviluppo sotterraneo, anch’esso legato alle necessità urbane, a formare realtà diverse ma congiunte. Da sempre l’umanità sfrutta ed utilizza cavità naturali, a volte creandone di artificiali scavando nella roccia, a realizzare cunicoli e ambienti ipogei con diverse funzioni, fino a creare delle realtà topografiche sotterranee distinte da quelle alla luce del Sole.

Una città come Palermo, che da quasi 2700 anni esiste ed insiste su un territorio non difforme dall’originale insediamento fenicio, la cui configurazione è mutata profondamente nel corso della storia, ha quindi conservato al di sotto della superficie, in gran parte inalterate, centinaia di testimonianze del suo passato. Gli abitanti che nel tempo si sono avvicendati sul suo territorio hanno utilizzato grandemente anche il sottosuolo: hanno aperto cave dalle quali trarre il materiale da costruzione, spesso di uso esclusivo scavando cavità proprio sotto il luogo delle fondamenta in una sorta di faidaté della pietra da taglio, hanno scavato pozzi e canali sotterranei ad uso idrico, hanno fondato necropoli, cripte e catacombe, hanno aperto cammini militari, fossati e trincee, e tantissimo altro ancora, fino a creare un’urbanistica sotterranea esclusiva e peculiare. Palermo vanta infatti in Europa il primato di possedere, grazie alla varietà geologica del suo sottosuolo, un patrimonio ipogeo antropico dove è palese la mano dell’uomo ed uno, non meno affascinante, di genesi carsica dovuta alle dinamiche geologiche.

E non sono solo questi gli unici segreti archeologici, a cui aggiungere senz’altro quelli geologici ed idrogeologici, che questa città nasconde, o dovrei forse dire nascondeva. Dall’ubicazione delle necropoli d’età imperiale, a quella degli edifici pubblici e dei teatri dell’età greco-punica e romana, all’intrico di canali, acquedotti, camminamenti, pozzi e cisterne che si intersecano al di sotto del centro storico, e non certo ultime, le strutture di epoche successive. Non a caso si sente spesso dire che, soprattutto in termini geologici, conosciamo meglio il cielo sopra di noi che non quanto abbiamo sotto i piedi.

Ed è con questo prezioso volume, di grande formato (17×24 cm), su carta patinata ed arricchito splendidamente da ben 222 disegni e 320 fotografie a colori, che l’Autore ci accompagna in un viaggio affascinante alla scoperta delle meraviglie che questa città oggi offre, proprio grazie ad un appassionato e minuzioso lavoro di indagine e ricerca, pressoché costantemente accompagnato dalla sistematica perlustrazione delle cavità, con le difficoltà che si possono immaginare, da quelle prettamente speleologiche a quelle burocratiche per ottenere gli accessi. L’ intento divulgativo principale è dunque avvicinare il lettore al patrimonio culturale sotterraneo della città, ancora poco conosciuta, nonostante sia ormai prassi consolidata in moltissime città, compresa Palermo, la possibilità di effettuare visite turistiche, in sicurezza e per tutti, alla scoperta del sottosuolo.

Gli argomenti trattati, anche se a volte possono avere qualche correlazione tra loro, sono fruibili a piacimento, potendo andare da un capitolo all’altro anche senza un preciso ordine, o senza seguire la struttura degli stessi, a rendere la lettura più elastica e personalizzata.

A 36 anni di distanza dalla pubblicazione del suo “Il sottosuolo di Palermo”, ed a 22 dalla “Guida di Palermo sotterranea”, l’Autore compendia, ristruttura, approfondisce ma soprattutto arricchisce i contenuti in questa sua ultima produzione. Da allora l’Autore ha potuto verificare ipotesi, acquisire certezze, estendere e perfezionare il sistematico censimento del sottosuolo e del suo contenuto, raccogliendo un’enorme quantità di dati atta anche ad effettuare correlazioni tra ambienti diversi che prima apparivano di difficile decifrazione se presi singolarmente, arrivando a svelare la chiave con cui interpretare i ruoli e le funzioni dei vari siti ipogei, già noti o di nuova scoperta. Va inoltre menzionato una ricca monografia che l’Autore, nel 2004, ha dedicato a “Le cave di calcarenite del palermitano”.

E chi meglio di un geologo, la professione che l’Autore esercita, avrebbe potuto in questo notevole lavoro? Avvantaggiato certo dalla conoscenza del territorio in termini geologici ed idrogeologici, dalla visione delle prove di sondaggi geognostici di varia natura, che svelavano spesso cavità e strutture sotterranee nuove tutte da catalogare, non si deve però trascurare la mole di lavoro da effettuare per censire, catalogare, distinguere, correlare quanto si è in precedenza visitato, osservato, toccato e documentato. E da geologo non trascura di raccontarci come due siano stati gli elementi naturali che da sempre hanno accompagnato l’uso continuo sia degli ambienti di superficie che di quelli sotterranei: la calcarenite e l’acqua. La prima, un’ottima roccia da taglio documentata e raccontata fin dal X secolo e che domina con i suoi colori l’architettura del centro storico della città, e la seconda, l’acqua di falda, fresca, abbondante e reperibile ovunque a piccola profondità e che ci accompagna, quasi una costante, nelle dozzine di infrastrutture che la trasportano e la distribuiscono, descritte e raccontate nel dettaglio dall’Autore.

Inoltre, si dirà di pozzi abbandonati utilizzati fino ad epoche recenti come discariche, persino delle macerie dei bombardamenti che la città subì nel corso dell’ultimo conflitto mondiale, fino ad uno degli ultimi usi del sottosuolo che si fece proprio per difendersi da quei bombardamenti, ovvero costruire rifugi sotterranei od usare ambienti ipogei esistenti allo scopo. Avremo infine conoscenza del significato e del ruolo dei tantissimi nomi vernacolari che indicano le strutture, così cari ai palermitani e ai siciliani.

Nonostante la presenza abbondante e storica di acqua freatica, filo conduttore della ricerca esposta in questo volume, Palermo soffre di un dissesto della rete idrica di distribuzione che vede perdite fino al 60 percento aggravate dal reiterarsi di periodi siccitosi, questi ultimi dovuti per lo più agli effetti del cambiamento climatico. I penosi razionamenti sono frequenti, persino di recente, ed è prassi comune a quasi tutte le abitazioni condominiali dotarsi di cassoni di riserva collocati sui tetti dei palazzi. Non a caso l’Autore evidenzia «la bassa sostenibilità ambientale delle acque di superficie» suggerendo di recuperare, restaurandoli, i sistemi idraulici storici, più adatti alle esigenze dettate da un clima che cambia.

Per una città come Palermo, che da tempo immemorabile soffre di gravissimi problemi di approvvigionamento idrico, peggiorati dal trovarsi geograficamente alla frontiera del clima che cambia, la conoscenza dell’evoluzione urbanistica del suo sottosuolo ha quindi un’importanza fondamentale.

Il desiderio dell’Autore quindi, di integrare, aggiornare e rivedere quanto dato alle stampe in precedenza, soprattutto alla luce delle nuove scoperte e dei dati archiviati, lo ha condotto a realizzare questo splendido volume, una «sintesi caleidoscopica d’immagini e di narrazione», parole sue, che mostra e descrive singolarmente ogni tipologia di struttura ipogea, e che fornisce al lettore il senso del valore del patrimonio culturale e naturale sito, come dicevo all’inizio, spesso a pochi metri sotto i nostri piedi; portandolo a toccare con mano il legame millenario tra la vita quotidiana e l’uso tradizionale dell’acqua e di quanto necessario ad ottenerla e condividerla.

E molto altro ancora.

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Nota
– i collegamenti alle precedenti pubblicazioni dell’Autore sono da egli stesso stati autorizzati, proprio grazie allo spirito divulgativo che anima ogni sua opera.

Qanāt, Khandak e gammitti
Un contributo addizionale dell’Autore

In questo breve video l’Autore ci guida alla scoperta della sorgente del Gabriele, attiva da duemila anni. Un tempio dell’acqua che alimenta la rete idrica di Palermo sin dall’epoca romana e che ancora oggi rifornisce l’acquedotto della città ed il cui nomederiva dalla parola araba Al Garbal, grotta irrigante o setaccio. L’acqua fuorisce da numerosi buchi nel sottosuolo, proprio come un grande setaccio.

Pietro Todaro

Ricercatore indipendente e divulgatore, già professore ordinario di fisica e laboratorio negli Istituti Tecnici, docente a contratto di geologia e storia del sottosuolo presso l’Università di Palermo, Dipartimento di Architettura. Come esperto del territorio urbano, della storia del sottosuolo e dei sistemi d’acqua tradizionali, ha condotto vari studi nella Piana di Palermo, nell’area mediterranea e nel Sahara algerino, Kenya e Iran. I risultati dei suoi studi ed esplorazioni sono stati oggetto di un centinaio di pubblicazioni scientifiche e di articoli divulgativi rivolti sempre al recupero e alla promozione del patrimonio ipogeo culturale e naturale, e dei manufatti d’acqua della tradizione siciliana. Ha partecipato come relatore a più di cinquanta convegni, congressi, seminari e workshop in Italia e all’estero. Ha ricoperto incarichi istituzionali tra cui, consigliere dell’Ordine regionale dei geologi e vicepresidente  della SIGEA Sicilia. Vincitore nel 1992 del I Premio di storiografia di Palermo e, nel 2010, del I premio ex aequo “Parco della Cultura di Monreale”.