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“Viaggio nell’Italia dell’Antropocene. La geografia visionaria del nostro futuro” di Telmo Pievani e Mauro Varotto (cartografia di Francesco Ferrarese)

a cura di Giacomo Milazzo

Recensione

«Milano non la si vedeva né cominciare né finire. Non era più una città ma una costellazione di città, ognuna con il suo centro la sua periferia. Arrivando da est, quindi, si attraversavano zone residenziali, poi centri di uffici, poi nuove zone residenziali, poi periferie sterminate aree industriali e poi di nuovo abitazioni e altri centri di shopping e di passeggio ricchi. La megalopoli era diventata da un paio di secoli uno dei più importanti centri finanziari e industriali d’Europa, la porta del continente sul Mediterraneo, soprattutto dopo l’allagamento e l’abbandono di Genova da una parte e di Ravenna dall’altra. Durante il primo antropocene le bolle di calore di queste città avevano più che raddoppiato l’effetto del riscaldamento climatico, con aumenti di temperature anche di otto-nove gradi medi in un secolo. (…) L’immensa Milano ora si spingeva fino a sud e non c’era distinzione con l’immenso porto commerciale e civile di Pavia. Poco più a est, chi poteva permetterselo andava a fare il bagno, dopo una ventina di minuti di macchina o di metropolitana, nei Lidi di Lodi, una vastissima estensione di spiaggioni sui quali affacciavano hotel, ristoranti e giostre, ma tutto in prefabbricato, tutto nomade e precario, perché di tanto in tanto il mare saliva, si ingoiava l’arenile e bisognava spostare indietro il baraccone di un centinaio di metri.»

E’ uno scenario da fantascienza, soltanto uno dei tanti raccontati in questo curioso, provocatorio ed accattivante libro, ed è solo uno dei tanti raccontati. Certamente apocalittico deve essere preso per quel che è: un monito per il futuro. Anche se all’atto pratico e sulla base di dati e previsioni attuali, è da ritenersi scientificamente improbabile, perché basato su una ipotesi di contesto invariato su diverse scale, non possiamo comunque stare tranquilli: anche se lo scenario è ben lontano dal verificarsi non sono da sottovalutare le conseguenze ben più reali da qui a fine secolo, quali quelle ad esempio già individuate dall’ENEA nel 2018 per ulteriori sette aree costiere a rischio inondazione.

Come cambierà la geografia del nostro paese a seguito del cambiamento climatico e soprattutto se non saremo in grado di mitigarne gli effetti?

Scritto da Telmo Pievani il racconto del viaggio del personaggio immaginario Milordo, ci accompagna, regione dopo regione, in un’immaginaria ma più che plausibile Italia del 2786, a 1000 anni dal famoso Viaggio in Italia di Goethe; la narrazione è corredata dagli approfondimenti scientifici, tra una tappa e l’altra, di Mauro Varotto, e arricchita da preziose cartografie a colori e dai dati statistici di Francesco Ferrarese.
Come ormai tutti purtroppo sappiamo, l’impatto dell’umanità sul pianeta sta producendo effetti devastanti. La realtà geografica che identifichiamo con l’Italia è stata nei millenni estremamente mobile per ragioni tettoniche, morfogenetiche, climatiche, ma in ultimo anche antropiche e possiamo dunque affermare, con rigore scientifico, che Homo sapiens sta contribuendo a cambiare il clima e pertanto anche la conformazione della superficie terrestre: non è un fenomeno recente, ma non era mai accaduto in tempi così rapidi e con conseguenze così vaste. Considerata questa inedita accelerazione, non possiamo fare a meno di chiederci: come muterà l’aspetto del mondo nel futuro prossimo? Se tutto continuerà ad andare per il verso sbagliato e non attueremo le giuste misure per evitarlo, assisteremo alla fusione dei ghiacci perenni e all’innalzamento del livello dei mari. Per farci riflettere sui rischi concreti a cui potremmo andare incontro, il filosofo ed evoluzionista Telmo Pievani e il geografo Mauro Varotto hanno immaginato come si trasformerà l’Italia proiettandoci, in maniera distopica, nell’anno 2786. Esattamente 1000 anni dopo l’inizio del viaggio in Italia di Goethe, comincia così il tour di Milordo attraverso la geografia visionaria del nostro futuro: la Pianura padana sarà quasi completamente allagata; i milanesi potranno andare al mare ai Lidi di Lodi; Padova e tantissime altre città saranno interamente sommerse; altre ancora si convertiranno in un sistema di palafitte urbane; le coste di Marche, Abruzzo e Molise assumeranno l’aspetto dei fiordi; Roma sarà una metropoli tropicale; la Sicilia un deserto roccioso del tutto simile a quello libico e tunisino… Tappa dopo tappa, al viaggio di Milordo farà da contraltare l’approfondimento scientifico che motiverà, con dati e previsioni, le ragioni del cambiamento territoriale – illustrato, per l’occasione, con una serie di mappe dettagliatissime create da Francesco Ferrarese. Uno scenario giudicato per fortuna ancora irrealistico, ma utile per farci capire che l’assetto ereditato del nostro Paese non è affatto scontato e che la responsabilità di orientarlo in una direzione o nell’altra è tutta nostra.

Alla fine di ogni capitolo del viaggio immaginato sono riportati dati scientifici, modelli, scenari probabili, rapporti e conclusioni che rendono drammaticamente reale e concreto quanto già sappiamo; questi intervalli nella narrazione costituiscono inoltre una preziosa raccolta di dati e considerazioni sull’impatto che il cambiamento climatico sta avendo ed avrà, a tassi crescenti, su ambienti e risorse in divenire. Capitolo dopo capitolo vengono enumerate cifre e percentuali, si descrive lo stato di fatto attuale, si dipingono gli scenari probabili ed i punti di non ritorno riportando il lettore con i piedi per terra e mettendolo di fronte alle evidenze scientifiche. Fusione dei ghiacciai, modelli climatici, desertificazione, l’acqua come risorsa, nuove conurbazioni, adattamento e cambiamento, uso del suolo, tutto è trattato con ricchezza di particolari rendendo l’insieme un vero e proprio “libro nel libro”.

Nonostante la sua geografia apocalittica, questo «libro semiserio» (citazione dagli autori) è improntato all’ottimismo e intende stimolare all’azione, che per essere efficace dovrebbe coinvolgere tutte le scale, da quella politica a quella planetaria a quella dei comportamenti del singolo individuo.

E non ultima, una nota di merito. Come raramente capita nel mondo dell’editoria, gli autori hanno deciso di destinare i proventi  ricavati dalla vendita del libro al Museo di Geografia dell’Università di Padova per sostenere l’attività di educazione geografica sugli effetti del cambiamento climatico. E questa cosa andrebbe ben evidenziata anziché scriverla, a piccoli caratteri, insieme a informazioni su edizioni e ristampe.
Un’ultima nota. La commissione internazionale per la stratigrafia ha recentemente, dopo anni di discussioni, emesso la sentenza: l’Antropocene non merita d’essere inserito tra le epoche geologiche, il Quaternario è già definito. D’accordo, anche se più che altro hanno litigato sul quando farlo iniziare, non sarà un’epoca, ma certamente l’era dell’uomo è iniziata ed è in corso. In questo articolo de “Le Scienze” c’è un ottimo approfondimento.

Approfondimenti con gli autori

Fonte https://www.pde.it/wp-content/uploads/2021/04/LATIUM-ritaglio2.jpg
Fonte https://www.pde.it/wp-content/uploads/2021/04/AEMILIA-1024x693.jpg

Gli autori raccontano

Cronache dall’Antropocene con Telmo Pievani
Cos’è l’Antropocene? Perché non sappiamo quando farlo cominciare? Il filosofo della scienza ed evoluzionista ripercorre la storia di questa parola iconica, mostrandone lati nascosti e opportunità. In fondo, ci vuole faccia tosta a chiamare con il proprio nome un’intera epoca geologica.

Telmo Pievani, Mauro Varotto e Francesco Ferrarese. Viaggio nell’Italia dell’Antropocene
Un saggio, un racconto fantastico, un vero e proprio atlante del futuro che ci aspetta se non rimediremo il più velocemente possibile ai danni ambientali da noi stessi causati. A discutere con i tre autori un interlocutore d’eccezione: Bruno Arpaia, romanziere, giornalista, traduttore, appassionato cultore di scienza e da anni docente di Tecniche della narrazione al MACSIS (Master in Comunicazione della Scienza e Innovazione Sostenibile) all’Università di Milano Bicocca. 

Qui la splendida recensione di Bruno Arpaia