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“Tutti i mondi possibili. Un’avventura nella grande biblioteca dell’evoluzione” di Telmo Pievani

a cura di Giacomo Milazzo

Recensione

There are more things in heaven and earth, Horatio, Than are dreamt of in your philosophy.
(Shakespeare, Hamlet)
Il possibile è più vasto del reale e c’è più meraviglia in questo che nell’immaginario.
Natura è declinato al futuro. Ciò che sta per nascere.

Tutti i mondi possibiliInutile negarlo, ci piacciono le storie a lieto fine, e questo libro è innanzi tutto una storia a lieto fine. Sia perché racconta di un percorso scientifico di ricerca nato dall’immaginazione, come spesso accade nella scienza, prevedendo e immaginando mondi da sottoporre alla verifica sperimentale, sia perché racconta la storia di Frances Arnold, premio Nobel per la chimica nel 2018. Una grande lezione su tutto quello che puoi scoprire quando ti metti a guardare la realtà da un altro punto di vista.

Difficile trovare nella storia della scienza un Nobel più meritato del suo.

Con un’ossessione in testa, che le proteine rilevanti per la biologia siano una parte infinitesima di tutte le proteine possibili e che dentro quell’universo ci siano enzimi che ci permetteranno di curare le malattie e alleviare l’invecchiamento, di trovare soluzioni per la crisi ambientale, di avere cibo e acqua pulita, biocombustibili, alternative non tossiche ai pesticidi: una vastità di proteine potenziali messe al servizio dell’umanità.

L’evoluzione genera diversità muovendosi in una gigantesca rete di connessioni. E lo fa utilizzando espedienti, adattamenti, rimaneggiamenti e innovazioni che sono universali: in passato come oggi, che fosse stato per un dinosauro o per gli enzimi in uso nei batteri. Questi ultimi una volta facevano per noi solo la birra e il pane, adesso, grazie a Frances Arnold, sono usati per la diagnosi e il trattamento di molte malattie, per ridurre gli scarti, per migliorare i materiali, per sintetizzare nuovi farmaci, per rendere più pulite le produzioni industriali. E nessuno sa quali altre applicazioni si nascondano nelle innumerevoli possibilità dei prossimi enzimi che potranno essere prodotti, evolvendo quando esistente. “Evoluzione direzionata degli enzimi”, così è definita la scoperta, e così recita la motivazione del Nobel.

La storia inizia, apparentemente del tutto fuori contesto con quel che accadrà, con lei che in vacanza a Madrid, giovanissima studentessa di ingegneria meccanica e aerospaziale a Princeton (una rarità per i tempi e per il settore), che si imbatte e legge “La biblioteca di Babele”, un racconto del 1941 di Jorge Luis Borges.

Il racconto di Borges è un capolavoro, soprattutto di immaginazione matematica e scientifica: l’idea che possa esistere una biblioteca sterminata, indefinita ma non infinita, ma al tempo stesso, a conti fatti, incontenibile per dimensioni nemmeno nell’Universo conosciuto, con un numero iperastronomico di libri, tutti i libri che si possano immaginare permutando in modo casuale 25 caratteri alfabetici in ogni singolo libro, rigidamente composto da 410 pagine ognuna con 80 righe da 40 caratteri. Ogni libro con 1.312.000 caratteri, e tutti i libri della biblioteca pari a 251.312.000 (in decimale 101.834.097). Ma non finisce qui, il fisico Tullio Regge,  ipotizzando che la densità media della biblioteca sia pari a un decimo di quella dell’acqua, calcolò che la sua massa sarebbe stata talmente elevata da collassare in un buco nero e che l’Universo conosciuto non potrebbe che contenere appena 1084 libri! Ma la metafora prende il suo senso reale sapendo che certamente ci saranno frasi, o persino pagine di senso compiuto, negli spazi sterminati di questa biblioteca, ma nessun bibliotecario, nemmeno con tempo a disposizione prossimo a infinito, riuscirà mai a trovarle, vista la probabilità prossima a zero. Borges definisce la sua biblioteca in modo straordinario: inutile, incorruttibile e segreta.

La biblioteca è un paradosso perché contiene tutti i libri possibili, tutti i libri finora realizzati nella letteratura mondiale, la Divina Commedia così come Moby Dick, ma non c’è un ordine e ci si perde; quindi, è come non contenesse libro alcuno. Ma oltre a questo c’è anche tutto il non senso possibile, da inutili sequenze di ABC ripetute senza fine, a copie di libri famosi con un solo errore: e Borges, con una intuizione meravigliosa, già allora vede il labirinto del web, non potendo allora nemmeno immaginarlo, un mondo con tutte le informazioni possibili ma con nessuno che possa guidarci attraverso.

Non è un’idea nuova: già Lucrezio nel suo “De Rerum Natura” descriveva il mondo fatto di atomi e questi sono come le lettere che descrivono il mondo, vanno lette e interpretate; Galileo diceva che il mondo è scritto col linguaggio della matematica e della geometria. Fino alla tavola periodica degli elementi di Mendeleev dove protoni, neutroni ed elettroni, nella loro combinazione, sono il linguaggio che li descrive, talmente geniale che le combinazioni mancanti, i buchi, sono quegli elementi che avrebbero quelle caratteristiche, previste dallo schema, ma nessuno ha, o meglio aveva, mai osservato in precedenza che, una volta scoperti – come ad esempio accadde per Scandio, Gallio o Germanio – avrebbero occupato il posto vuoto a loro destinato.

Frances Arnold, profondamente colpita, si lascia ispirare da questa metafora. Dopo essere tornata negli Stati Uniti, e dopo aver conseguito il dottorato in ingegneria chimica, legge un articolo scientifico pubblicato nel 1970 e passato quasi sotto tono, riscoperto molto tempo dopo, scritto da John Maynard Smith, un grande evoluzionista. In questo articolo, senza citare Borges, in un esempio di coincidenza straordinaria, si immagina un’altra biblioteca, ma anziché esserlo di libri è una biblioteca di proteine. Le proteine sono i mattoni fondamentali con cui sono costituiti i tessuti di tutti gli organismi viventi, le sostanze che creano, avviano o interrompono reazioni chimiche, che creano o distruggono legami chimici; gli enzimi sono proteine. Le fabbriche della vita. E torna la metafora dei libri.

Anche le proteine hanno un loro linguaggio, sono fatte di aminoacidi, mediamente 500 aminoacidi ciascuna: un libro fatto di 500 parole ognuna delle quali fatta dalla combinazione di tre lettere, tre nucleotidi scelti tra quattro disponibili. Senza entrare in dettagli tecnici ogni proteina è una sequenza scritta a partire dal DNA, copiato nell’RNA e tradotto in una sequenza di aminoacidi che sintetizzano la sua struttura.

La Arnold capisce che così come non ci sono mai due libri identici non possono esserci mai due proteine uguali, così come la stragrande maggioranza dei libri privi di senso la stragrande maggioranza degli enzimi potenziali non fa niente, è rumore, caos, ma ogni tanto ce n’è qualcuno che invece funziona, fa delle cose, come un libro che abbia senso e sia leggibile. La metafora è talmente potente che è stata ripresa: è stata realizzata la biblioteca dell’RNA, quella dei genomi umani, degli anticorpi, in tutte le loro combinazioni possibili.  Persino la biblioteca di tutte le conchiglie del mondo, comprese quelle che hanno già vissuto.

Ma mentre la biblioteca di Borges è uno spazio teorico, matematico, quello delle proteine è concreto e reale, logicamente definibile e navigabile, come potrebbe esserlo una sfera  a quattro dimensioni nel nostro mondo a tre. E fuor di metafora in questo immenso spazio logico, lo spazio creato da tutte le possibili combinazioni, un passo alla volta, lo spazio delle forme, lei capisce che ci si potrebbe navigare. Navigare nelle possibilità.

Partendo dalla realtà, usando il metodo che da miliardi di anni in natura guida l’evoluzione, la selezione naturale, con un approccio dal basso, il gruppo della Arnold, nei laboratori, introduce mutazioni nelle proteine esistenti, come fosse cambiare un solo carattere alla volta, senza fare salti complicati, ma un cambiamento nel possibile adiacente, quasi stesse completando il posizionamento delle faccette colorate di un cubo di Rubik.

Come nella biblioteca di Borges quella delle proteine contiene non soltanto tutto ciò che si è realizzato finora, e che quindi si è estinto, ma anche tante configurazioni che ancora non sono venute ad esistere, rimaste per così dire, possibilità inespresse.

E non c’è nulla di innaturale in tutto questo. Non si tenta di creare una nuova sostanza partendo dall’alto, da zero. Non funzionerebbe e non funziona come è stato dimostrato più volte. La nostra ignoranza su come una sequenza codifichi una funzione è tuttora pressoché totale, non sappiamo nulla del come una proteina determini i suoi dettagli dalla sequenza che la origina. Ma si parte dal reale, il possibile potrà verificarsi proprio grazie al vaglio cieco della selezione naturale che da miliardi di anni agisce su quanto ha a disposizione.

Non si tratta di naturale contro innaturale. I biotecnologi che lavorano con la Arnold rifiutano questa dicotomia. Gli esseri umani realizzano quanto serve loro da migliaia di anni: dal mais, che non ha nulla a che fare con la pianta sua antenata, ai gatti senza pelo. Si tende a pensare che una cosa in quanto naturale sia necessaria, inevitabile, perfetta, buona, creata proprio così per una lenta evoluzione. Ma la Arnold da questo punto di vista è un’eretica, con le sue idee non ancora accettate da molti suoi colleghi maschi troppo legati al ruolo di ingegneri, progettisti da zero di qualcosa. Lei fa emergere quanto la natura finora non ha fatto, per vari motivi, forse, chissà, proprio magari per mancanza del tempo necessario ad esplorare tutti gli spazi del possibile.

Nell’ambito della sua area di ricerca si potrebbe navigare dentro il possibile per scoprirvi nuove proteine, che potrebbero essere utili nei campi più disparati. Per vent’anni nessuno le dà retta, la prendono per una visionaria, spesso quasi derisa da colleghi, soprattutto maschi, che presuntuosamente le dicono che il suo metodo è fallimentare. Riceve il primo posto fisso in università nel 2000, cioè 25 anni dopo l’avvio della ricerca, vivendo con contratti precari per più di 20 anni. La prendevano per visionaria, le dicevano che non ce l’avrebbe mai fatta; e invece ha cominciato a trovare delle proteine che fanno cose meravigliose, biocombustibili da sostanze impensabili prima, detersivi ad impatto ambientale pressoché nullo, cosmetici davvero ecologici e tantissimo altro ancora.

In un qualsiasi supermercato tutti i detersivi cosiddetti “bio” utilizzano gli enzimi prodotti dalla Arnold, così come nei cosmetici anallergici, gli enzimi utilizzati nei vaccini, e dozzine di altre applicazioni.

Frances Arnold ha deciso di non brevettare questa tecnologia: se l’avesse fatto sarebbe miliardaria. L’ha invece messa a disposizione di chiunque voglia usarla. E sono dozzine le aziende che lo fanno, nei settori più disparati. Ha deciso che doveva essere concesso gratuitamente l’uso di questa tecnologia a chiunque; quando le chiesero i motivi di questa scelta controcorrente ha risposto che lei non ha inventato nulla, non è opera del suo ingegno: è l’evoluzione che funziona così da sempre, e l’evoluzione le ha insegnato il metodo. Lei lo ha semplicemente simulato in laboratorio, quindi se c’è qualcosa che merita royalties è l’evoluzione.

Quella di Frances Arnold è una storia dell’immaginazione nella scienza, dell’imprevedibilità delle scoperte scientifiche e di quanto ci converrebbe investire di più nella conoscenza, perché dalla conoscenza sicuramente verranno fuori soluzioni che noi adesso nemmeno riusciamo ad immaginare, per il futuro dei nostri figli e dei giovani che adesso vogliono fare scienza.

La Arnold ci mostra che siamo bibliotecari imperfetti. Nell’evoluzione, molte specie umane diverse da Homo sapiens si sono estinte. La nostra specie non è privilegiata: occupa uno scaffale come tutte le altre. Tuttavia, grazie alla nostra tenacia e ingegno, possiamo esplorare la biblioteca per un po’, comprendendo che essa ci sopravviverà. Inutile, incorruttibile, segreta.

«Vi è qualcosa di grandioso in questa concezione della vita (…), e nel fatto che, mentre il nostro pianeta ha continuato a ruotare secondo l’immutabile legge della gravità, da un così semplice inizio innumerevoli forme, bellissime e meravigliose, si sono evolute e continuano a evolversi»
(Charles Darwin, “L’origine delle specie”, 1872)

Telmo Pievani
Telmo Pievani

Evoluzionista, filosofo della scienza, saggista, insegna Filosofia delle Scienze Biologiche nel dipartimento di Biologia dell’Università degli Studi di Padova ed è visiting scientist presso l’American Museum of Natural History di New York. Dal 2017 al 2019 è stato presidente della Società italiana di biologia evoluzionistica. Socio di importanti società scientifiche e dell’Editorial Board di riviste internazionali, dirige il portale Pikaia. Vincitore di 12 premi, insieme alla Banda Osiris, al collettivo “Deproducers”, a Gianni Maroccolo e a Marco Paolini è artefice di progetti teatrali e musicali a tema scientifico. Collabora con «Il Corriere della Sera» e con le riviste «Le Scienze», «Micromega» e «L’Indice dei Libri». Nel 2024 la International Astronomical Union gli ha dedicato un asteroide. Autore di più di 350 pubblicazioni, tradotte in molte lingue.

L’Autore ci racconta il suo libro

Il punto di vista di
Valerio Calzolaio su Pikaia.