
a cura di Giacomo Milazzo

Recensione
Inauguriamo la nuova stagione con un libro fresco di stampa, uscito lo scorso luglio.
Finché a scuola si è insegnata Geografia, oggi grande assente, la Corrente del Golfo era nota a tutti, almeno nel nome. Questo fiume nell’Oceano, come disse Benjamin Franklin già a metà del XVIII secolo, ci dicevano, contribuisce a rendere tutto sommato mite il clima della Gran Bretagna, verdissima l’Irlanda e la Scandinavia abitabile, oltre a far dire agli inglesi, con orgoglio, che il tempo da loro è pessimo, ma il clima fantastico. Un sistema di circolazione delle acque del centro e nord Atlantico tale da spostare l’equatore climatico di ben dieci gradi più a nord di quel che avremmo senza le correnti. E della Corrente del Golfo abbiamo da sempre l’idea che sia qualcosa di immutabile per l’Europa, una sua proprietà, una certezza, come le Alpi o i Pirenei.
Ma così non è. L’autore ci accompagnerà in un lungo viaggio durante il quale le prove che la Corrente del Golfo sta scomparendo saranno via via più numerose: dallo studio di come stanno cambiando le rotte migratorie dei grandi cetacei ai supertecnologici esperimenti nella vasca più grande del mondo. Uno dei tanti effetti collaterali del cambiamento climatico di cui tante volte abbiamo parlato su queste pagine e che, ancora una volta, dimostrano come l’ambiente sia tutto: è l’aria che respiriamo, il cibo che mangiamo, l’energia che produciamo, il territorio in cui viviamo; e che le questioni ambientali sono tutte interconnesse.
Non è possibile raccontare l’ambiente a compartimenti stagni, dividendo cambiamento climatico e protezione degli habitat, energia e biodiversità. Non solo: è impossibile separarle da tematiche un tempo esclusivamente umane, come industria e agricoltura.
Il sistema di correnti che appartiene a ciò che è noto come AMOC (Atlantic Meridional Overturning Circulation, un complesso sistema di correnti marine di cui la Corrente del Golfo fa parte) è al suo minimo energetico da 1600 anni, in parte per cause naturali; ma l’assurdo, rapidissimo riscaldamento imposto dall’uomo alla Terra le sta dando il colpo di grazia: uno studio recentissimo riporta che, se il livello di emissioni non cambia, il collasso potrebbe già avvenire nel corso dei prossimi decenni, accelerato dallo scioglimento dei ghiacci della Groenlandia e da un artico con estati sempre più vicine ad essere ice-free. In passato il più cauto IPCC, il più importante ente mondiale che si occupi di cambiamento climatico, mitigò le previsioni affermando di avere una “confidenza media” che ciò non accadrà entro questo secolo. Conosciamo più la Luna che i mari e l’incertezza regna a causa della scarsità attuale delle nostre informazioni. Una sola cosa è certa: anche qualora l’evento avesse una scarsa probabilità di verificarsi i suoi effetti saranno devastanti. E l’importanza dell’argomento è testimoniata anche dal fatto che fino al 2015 non c’erano studi rilevanti poi, quasi improvvisamente, almeno quattro rivoluzionari in meno di due anni.
Il collasso dell’AMOC avrebbe conseguenze comunque inimmaginabili: quando accadde in passato, provocò variazioni di temperatura media dell’ordine di 10 gradi sopra e sotto la media a seconda della regione interessata; ma non abbiamo dati a sufficienza per capire quanto il riscaldamento globale antropogenico, enormemente più rapido rispetto ai cicli naturali, possa causare sulle correnti. Visto che il ruolo di questo sistema di correnti termoaline (guidate cioè non solo da differenze di temperatura ma anche di salinità) è quello di rinfrescare i climi tropicali e rendere quelli nordici più miti di quanto dovrebbero essere in base alla loro latitudine, un collasso dell’AMOC porterebbe a stravolgimenti climatici notevoli, con la fine dell’Europa come la conosciamo oggi dal punto di vista climatico, impatti sull’agricoltura sia in Africa che in India, sulle piogge amazzoniche e sul livello del mare in Nord America. Il collasso dell’AMOC è uno dei tipping point già annunciati e che, qualsiasi cosa si faccia adesso, non servirà a mutarne gli effetti futuri; al pari della scomparsa dell’Amazzonia o dello scioglimento del permafrost.
Ma l’AMOC è soltanto un pezzo del groviglio di correnti maggiori e minori che ridistribuiscono salinità e temperatura, in superficie come in profondità, nei mari di tutto il mondo: quel che accade all’AMOC nell’Atlantico non può non influenzare le correnti del Pacifico e viceversa.
Come le correnti, questo mondo è tutto connessioni e incastri, come tessere del domino, per una che cade in Europa una foresta secolare in Indonesia potrebbe crollare.
E così l’autore è partito per un lungo viaggio, dalle Azzorre alle Svalbard, attraverso sei paesi – a piedi, in macchina, treno, traghetto o in barca a vela – e questo libro lo racconta tappa dopo tappa, per seguire la corrente, da un estremo all’altro della sua storia europea, per vedere un’Europa che è cambiata e che sta cambiando di fronte alla minaccia della scomparsa della Corrente del Golfo, ma anche davanti a tutte le trasformazioni combinate che stanno toccando il nostro continente. Perché il cambiamento climatico esiste e interagisce con tutte le altre trasformazioni ambientali, dalla scomparsa della biodiversità alla distruzione degli habitat, ma anche con quelle sociali come i flussi migratori, la Brexit, le politiche conservatrici e reazionarie di molti paesi dell’Unione Europea.
Un viaggio in e tra località note e meno note, sorprendenti nella loro unicità e allarmanti nel loro modo di trasmettere ciò che potrebbe essere il futuro, o di ciò che è già segnato.
Ma non c’è solo cambiamento climatico, motivo conduttore sempre sullo sfondo, c’è ecologia, oceanografia, biologia, tecnologia di altissimo livello, sociologia, politica e storia. E molto altro ancora.
E nel suo cercare risposte ci accompagna nel suo viaggio suscitando in noi le stesse emozioni di quando adolescenti leggevamo Jules Verne, Emilio Salgari o Jack London, mondi quelli fantastici, contrapposti alla concreta realtà di questi raccontati dall’autore.
Un viaggio, infine, teso soprattutto a rispondere alla domanda delle domande, che l’autore si pone al pari di tantissime persone, che siano o meno impegnate nell’adattarsi e nel combattere al tempo stesso per cambiare la tendenza in corso. «Ce la faremo?».
Un viaggio lungo la corrente che scompare per conoscere l’Europa che resiste.
Una delle cose che più si apprezza in questo libro è l’aver saputo applicare lo scopo principale del buon giornalismo: si inizia non stando dalla parte di nessuno e si portano allo scoperto le responsabilità. Con chiarezza nei confronti di alcune situazioni, non limitandosi a generiche dichiarazioni di comportamenti o contesti considerabili alla stregua di veri e propri reati ambientali, indicandone le cause principali e, per fortuna, partendo dalla neutralità si arriva obbligatoriamente a scegliere da che parte stare e, dove possibile, facendo nomi e cognomi.

Giornalista ambientale con numerose esperienze sul campo in Africa subsahariana, America Latina, Asia ed Europa, collabora, tra l’altro, con “The Guardian” e “Corriere della Sera”. Si occupa di crimini ambientali, geopolitica della transizione energetica e impatto delle questioni ambientali sulla cultura e sulla società mondiale.
È consulente per agenzie ONU quali UNICRI e UNODC e ricercatore dell’Istituto Affari Internazionali (IAI) dal 2015. È regista di diversi documentari tra cui Habitat, dedicato alla conservazione degli ultimi ecosistemi pristini d’Europa, e L’eco dei ghiacciai, sulla ricerca legata al cambiamento climatico alle Svalbard.
Approfondimento
R!se Journal, progetto dell’autore
Principi di comunicazione ambientale
Con uno stile narrativo diretto l’autore ci coinvolge nelle sue stesse emozioni, e alla fine della lettura le cinque regole della comunicazione ambientale saranno state raccontate con dovizia di particolari, con passione e professionalità.
- Le questioni ambientali sono tutte interconnesse
Non è possibile raccontare l’ambiente a compartimenti stagni, dividendo cambiamento climatico e protezione degli habitat, energia e biodiversità. Non solo: è impossibile separarle da tematiche un tempo esclusivamente umane, come industria e agricoltura. - Non esiste più separazione tra uomo e natura
I vasti territori incontaminati sono un sogno distante, tanto in Europa quanto nel resto del mondo. L’uomo è ovunque: l’obiettivo dovrà essere trovare una nuova via per la convivenza tra uomo e natura, e preservare la poca natura ancora intatta nel mondo. - Non esistono (sempre) buoni e cattivi
Il discorso ambientale è fatto di sfumature, non di contrapposizioni tra colpevoli e benefattori. Esistono eccezioni, chiaramente, ma nella maggior parte dei casi l’obiettivo non dovrà essere più accusare, ma prima di tutto comprendere. - La comunicazione ha bisogno di più scienza, la scienza di più comunicazione
La complessità delle questioni rende necessario costruire un ponte tra chi possiede gli strumenti di disseminazione e chi i dati e le informazioni, creando occasioni e piattaforme per un dialogo che sia costante e duraturo. - Ora, o mai più
Le minacce che non solo l’ambiente, ma il mondo nella sua interessa affronta, non sono mai state così grandi – e sono già reali. Ma è anche un momento in cui abbiamo ancora la possibilità di invertire o ridurre queste tendenze, perché finalmente possediamo gli strumenti adeguati. Bisognerà agire adesso perché abbiano successo: è l’ultima occasione che abbiamo.
L’autore presenta il suo progetto con un breve intervento video a Kilimangiaro del 4 febbraio 2024
Intervista all’autore da “Il fatto quotidiano”
di Elisabetta Ambrosi del 27 Agosto 2024
Quanto è importante la Corrente del Golfo?
Per farvi capire quanto sia importante il ruolo climatico della Corrente del Golfo prendiamo ad esempio le Faer Oer, tra Islanda e Scozia, proprio al centro della corrente, e la città di Jakutsk, in Russia, nel nord-est della Siberia.
Sono entrambe alla stessa latitudine, 62° N, ma alle Faer Oer il clima è costante tutto l’anno, con temperature che oscillano mediamente tra i 4 e 10 gradi centigradi, e tantissime precipitazioni, mentre nella città siberiana gli inverni registrano costantemente temperature che sono mediamente intorno ai 60 °C…sotto zero! Pur tenendo conto della continentalità del clima siberiano le differenze sarebbero comunque enormi.