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“Roma sotto sotto. Una guida geologica della capitale” di Lorenzo Manni

a cura di Giacomo Milazzo

Recensione

Il grande Ardito Desio diceva che il geologo dev’essere anche alpinista ma, senza arrivare a tanto, a volte basterebbe percorrere i sentieri del parco di Monte Mario a Roma, 139 metri di altezza, per scoprire nuovi orizzonti. E se c’è qualcosa che ci permette di conoscere ed individuare le bellezze, gli equilibri e le fragilità di un territorio questa è proprio la Geologia. E sul Monte Mario è proprio il primo luogo dove l’Autore ci accompagnerà.

Lorenzo Manni dedica idealmente questo libro ai romani, e non solo, ma soprattutto ai camminatori perché camminare, oltre ad essere salutare e benefico, è un ottimo sistema per impiegare il tempo di cui disponiamo se vogliamo accorgerci di quanto Roma può regalarci scavando un po’ di più oltre quello strato che da secoli ci restituisce le meraviglie archeologiche che l’hanno resa eterna attraverso le sue continue trasformazioni.

In questo libro l’Autore ci accompagna, con semplicità e chiarezza espositiva, spaziando dalla geologia alla sismologia, dalla vulcanologia all’idrogeologia, in un viaggio attraverso il tempo profondo, quello geologico, alla scoperta della storia che lega la geologia alle vicende umane, passando agli albori della presenza dei primi ominidi sul territorio che ospita oggi Roma.

In un attraente viaggio attraverso la storia geologica di Roma, narrata attraverso le sue rocce ed i depositi alluvionali, questi antichi testimoni ci parlano del mare che milioni di anni fa ricopriva l’area su cui sarebbe sorta la città, di apparati vulcanici imponenti, che raccontando delle fasi più recenti della storia geologica hanno plasmato gradualmente il paesaggio, creando colline separate da valli scavate a più riprese dai fiumi. Il Tevere e l’acqua occupano un posto di rilievo in questa storia, con i suoi tanti corsi d’acqua affluenti, spesso incanalati per vie sotterranee fin dall’età repubblicana. Senza trascurare dettagli sulla scelta felice del territorio, che così tanti materiali da costruzione ha messo a disposizione dei primi Romani, della localizzazione dei primi insediamenti sulle colline a ridosso del Tevere, risorsa preziosa ma anche minaccia da cui difendersi con opere di bonifica.

A titolo di esempio e di monito, un capitolo è dedicato all’urbanizzazione avvenuta alla fine del XIX secolo e dopo la Seconda Guerra Mondiale, con i problemi ed i rischi derivanti spesso dalla mancata conoscenza del sottosuolo, laddove lo sviluppo veloce e spesso quasi improvvisato ha portato a frequenti dissesti e problemi. E con un lago a sorpresa: quello della ex SNIA-Viscosa, situato nel Parco delle Energie nell’area di Pigneto-Prenestino. Unico lago naturale di Roma, dall’incredibile storia.

Ma ciò che rende davvero speciale questo libro è la presenza di 10 percorsi urbani, da esplorare a piedi o in bicicletta, inclusi alcuni itinerari che permettono di esplorare il territorio sotterraneo, catacombe, cunicoli, condotte, acquedotti. In questi percorsi l’Autore ci affianca raccontandone ogni dettaglio, a chiudere il cerchio di quanto anticipato nella premessa: comprenderne gli equilibri, individuare le fragilità e apprezzarne la bellezza.

Siamo certi che dopo la lettura di questo libro guarderete a Roma con occhi diversi così, per tornare ad Ardito Desio, come si guarda una montagna quando se ne conosce la storia geologica.

In questo breve video l’autore racconta, con molti particolari, una delle scoperte del sotto sotto della capitale.

L’autore presenta il suo libro

In questi ultimi decenni il nostro rapporto col territorio è gradualmente mutato. Il consumo spropositato di suolo, generalmente frutto avvelenato di interessi speculativi rapaci, ha contribuito a creare enormi criticità e squilibri ambientali che assumono le caratteristiche del disastro e della tragedia in occasione dei maggiori terremoti o degli eventi meteorici intensi che tendono a ricorrere con sempre maggiore frequenza nella attuale fase di riscaldamento globale di origine antropica.

A farne le spese sono territori impreparati anche dal punto di vista culturale, oltre che infrastrutturale e gestionale. Nei commenti che sempre seguono la tragedia, trova spazio la visione romantica di “saperi contadini e popolari” in base ai quali la manutenzione del territorio “di una volta” sarebbe stata in grado di limitare i danni prodotti dal disastro; in alcuni casi è senza dubbio vero, ma al contempo è cambiato il tipo di sfruttamento del territorio, anche a scopo agricolo, e in alcune zone la pressione antropica è aumentata a dismisura costruendo un paesaggio ipertecnologico molto lontano da quello che consideriamo “tradizionale”.

Le città contemporanee, da quelle più piccole alle grandi metropoli, non fanno eccezione: intorno ai centri storici sono cresciute zone residenziali sconfinate, centri commerciali e aree industriali delle dimensioni paragonabili a piccoli paesi; la regolarizzazione mediante condono delle grandi estensioni di urbanizzazioni abusive risalenti per la maggior parte alla seconda metà del ‘900, non ha generalmente tenuto conto che interi quartieri sono disordinatamente cresciuti in zone ad elevata pericolosità geologica, con infrastrutture insufficienti e sottodimensionate. Le varie “febbri edilizie” che periodicamente si susseguono precorrono i tempi della pianificazione urbanistica e le istituzioni che dovrebbero governare i processi sono generalmente costrette ad inseguirli ratificando l’esistenza di zone urbane dopo la loro costruzione (è eclatante il caso della cosiddetta “manovra di recupero urbanistico che interessa i nuclei di edificazione spontanea” del Comune di Roma).

Noi Geologi ci siamo abituati a guardare al territorio in modo multidimensionale, associando alle caratteristiche spaziali anche quelle proprie della sua evoluzione temporale: guardando un paesaggio siamo in grado di ricostruire i processi e i fenomeni che hanno contribuito a generarlo e a immaginare come si modificherà in un futuro più o meno lontano. Una visione di questo tipo è indispensabile anche per cogliere le criticità e le pericolosità indotte dall’azione dell’Uomo sull’ambiente.

Ciononostante, in questi ultimi anni le facoltà di Scienze Geologiche stanno registrando in tutta Italia un progressivo crollo delle iscrizioni, e la mancanza di una “cultura geologica” diffusa è evidente, sia a livello personale che istituzionale. Cosa possiamo fare? Per molti, il nostro rapporto così intimo e quotidiano con la geologia e il sottosuolo resta ignoto, una consapevolezza appannaggio di pochi, una nicchia di conoscenza in esaurimento. E’ necessario cercare di trasmettere la bellezza di questo sapere, una visione che noi Geologi abbiamo acquisito in tanti anni di studio e di lavoro, di professione e di passione; un scienza che si fa camminando, percorrendo il nostro territorio, esplorando i luoghi in cui il sottosuolo emerge, i punti di contatto tra quello che sta sotto e il nostro vivere quotidiano. Per questo forse un piccolo libro accessibile a tutti può rappresentare un contributo per avvicinare nuove persone alla Geologia, offrendo uno sguardo diverso alla realtà del territorio in cui si vive, anche quello urbano. L’idea di Roma Sotto Sotto nasce dalla voglia di condividere quello sguardo, fornendo uno strumento accessibile agli adulti e ai piccoletti.

“A Roma va così”

Titolo liberamente ispirato all’omonima canzone di Tutti Fenomeni
…in questo piccolo omaggio l’autore ci racconta la leggenda metropolitana, il mito, che vede la capitale quasi immune ai terremoti, perché sotto è “piena di buchi”…

A Roma va che ci sono credenze popolari di cui magari non si conosce più l’origine ma che te le ritrovi comunque sempre in mezzo. Sei a una presentazione di un libro sui vulcani del Lazio o magari a un convegno sulla comunicazione del rischio in occasione del terremoto di L’Aquila e, al momento della discussione, immancabilmente qualcuno si alza e chiede: “…ma è vera ‘sta storia che «Roma-sotto-è-vuota-e-quindi-non-è-sismica»? Possiamo sta’ tranquilli?”. Silenzio. Buio in sala. Qualcuno tossisce.

Certo, in alcune zone di Roma nel primo sottosuolo ci sono moltissime cavità sotterranee di varia origine e sviluppo: reti caveali estese e ramificate, gallerie catacombali dall’intricato sviluppo planimetrico organizzate in più livelli sovrapposti, ambienti cimiteriali pagani, cunicoli idraulici, cisterne. Gli ambienti ipogei di maggiori dimensioni, spesso legati ad attività di estrazione in sotterraneo di materiali da costruzione (vulcaniti litoidi compatte, tufiti, pozzolane, ecc.), hanno avuto diversi ri-utilizzi nel corso della storia della Città Eterna e molti di essi restano a tutt’oggi sconosciuti, in attesa di essere riscoperti per puro caso nel corso dell’esecuzione di scavi per fondazioni o, molto più rovinosamente, a seguito di crolli sotterranei che si propagano in superficie danneggiando edifici o infrastrutture. Le reti catacombali, che avevano avuto un enorme sviluppo fino al IV secolo, sono state poi abbandonate e dimenticate fino alla loro parziale riscoperta recente. Le cavità sotterranee si sviluppano nelle zone urbane nel cui sottosuolo sono presenti le vulcaniti di provenienza del Distretto Vulcanico dei Colli Albani o del Distretto Vulcanico Sabatino. Tali aree, un tempo lontane dalla città, sono state intensamente sfruttate a scopo estrattivo spesso senza rispettare criteri di sicurezza che garantissero la loro stabilità a lungo termine; esistono quindi ambienti molto ampi, separati da grandi pilastri, scavati in rocce o rocce tenere a diverso grado di fratturazione e compattezza.  Su questa rete di vuoti si è poi estesa la Roma Moderna, talvolta ignara della loro presenza dimenticata.

Le “leggende metropolitane”, si sa, sono alimentate dal mistero. E cosa c’è di meglio di queste gigantesche reti di cunicoli oscuri che si estendono sotto la città per chilometri e chilometri, la maggior parte dei quali resta ancora oggi inesplorata e sconosciuta?

Quello che lascia perplessi è come si sia diffusa e radicata profondamente nella popolazione romana la convinzione che la presenza dei vuoti nel sottosuolo protegga dai terremoti. All’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) hanno ipotizzato che tale leggenda tragga origine addirittura dalla teoria di Aristotele (384–322 a.C.) che vedeva l’aria come elemento all’origine dei terremoti: se per qualche motivo l’aria che si accumula all’interno della Terra non trova più spazio per espandersi, allora possono generarsi i terremoti. A quanto pare, la teoria aristotelica dei terremoti dovuti a venti sotterranei rimase quella più accreditata per circa duemila anni, almeno fino al XIX secolo, parallelamente o in associazione con la teoria dell’Ira Divina che si abbatte per punizione sull’Uomo. In epoca romana Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) nella sua Naturalis historia (Libro II), avrebbe in qualche modo ripreso la teoria aristotelica esprimendo la ferma convinzione che il terremoto dipenda dai venti e sia influenzato (come riteneva anche Aristotele) dalle condizioni atmosferiche; per Plinio non c’è dubbio che la forza generatrice del sisma sia l’accumulo dei venti nel sottosuolo e la loro lotta per uscire verso la libertà. Un rimedio sarebbe costituito dalle frequenti grotte (crebri specus) che consentono l’esalazione dello spirito accumulato nel sottosuolo; le città con più vuoti ipogei, come Roma o Napoli, sarebbero quindi protette dal sisma.

Come è noto, la presenza dei vuoti nel sottosuolo non ha nessuna influenza sulla sismicità di base dell’area romana né costituisce un fattore di protezione dallo scuotimento in superficie. In occasione della sequenza sismica dell’Appennino Centrale (2016-2017) si ha notizia di crolli avvenuti in alcune cave sotterranee, dove dalla volta si sono staccati blocchi di notevoli dimensioni, pur senza propagarsi fino alla superficie esterna e fortunatamente senza conseguenze tragiche. I vuoti ipogei, quindi costituiscono un fattore di incremento del rischio di crolli o danneggiamenti delle attività umane in superficie.

Tuttavia, se è giusta l’ipotesi dell’origine aristotelica della leggenda metropolitana circa il ruolo protettivo svolto dalle cavità sotterranee di Roma nei confronti della sismicità, ci troveremmo di fronte a un vero e proprio Mito precristiano che ha resistito fino ai nostri giorni e la domanda che spesso ci rivolgono in quanto Geologi, assumerebbe così un alto valore storiografico.

Bibliografia/Sitografia consultata

  • Piccardi et alii, 2020 – Evoluzione delle conoscenze sui terremoti a partire dalle fonti storiche – Mem. Descr. Carta Geol. d’It. 107 (2020)
  • “Roma e i Terremoti” (2010) – Roma è sismica? Andrea Tertulliani risponde a questa ed altre domande sul rapporto tra Roma e i terremoti – INGV Terremoti. (qui il video)
  • Plinio Seniore (77-78) – Naturalis historia – Libro II

Lorenzo Manni, geologo e geotecnico, si occupa di politiche ambientali e di gestione dei rifiuti radioattivi in Italia. Impegnato da sempre nella difesa del territorio attraverso la divulgazione scientifica e il supporto tecnico a movimenti di base e comunità locali.