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“È sedimentario, mio caro Watson! Dalle indagini ‘geologiche’ di Sherlock Holmes alla nascita delle geoscienze forensi” di Roberto Franco

a cura di Giacomo Milazzo

Recensione

Cosa collega il più famoso detective di tutti i tempi con la scienza? L’osservazione oggettiva: scevra da pregiudizi. Il processo deduttivo, o meglio, l’inferenza-esplicativa come direbbe il moderno filosofo della scienza Peter Godfrey-Smith estendendo quanto Peirce definì abduzione; ovvero quel processo logico che va dall’esperienza all’ipotesi, alla formulazione di nuove idee, partendo dall’osservazione, persino quando questa sia relativa ad elementi mancanti più che presenti, per quanto paradossale possa sembrare. E con un processo a ritroso porta alla formulazione che, per quanto non definitiva è, parafrasando Sherlock Holmes, quanto rimane di probabile una volta tolto l’impossibile.

Sherlock ha bisogno di misteri da risolvere, odia gli intrighi, l’ipocrisia, la falsità, combatte gli impulsi anarcoidi e distruttivi di cui l’uomo spesso è preda. Egli vuol far trionfare la verità nonostante il rischio concreto che qualcuno ne patisca le conseguenze, non sempre felici. Non ha mai paura della verità, a differenza di una parte consistente della moderna società che non riesce più a interrogarsi su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, privi del necessario pensiero critico e spesso persino privi degli strumenti cognitivi minimi. Pensiero critico imprescindibile per non incedere verso l’omologazione, l’appiattimento, il totale conformismo sociale. Non ci ricorda forse tutto ciò la figura dello scienziato?

La scienza moderna si dimostra continuamente non solo essere il più efficace metodo per accrescere la nostra conoscenza ma anche un contenitore di valori che molti vorrebbero vedere continuamente applicati anche in altre aree della vita civile. Se c’è un settore dove prevalgono sempre onestà e moralità è quello della ricerca scientifica proprio perché, per dirla con le parole di Popper, la scienza non è un insieme di predicati verificabili ma è al massimo un insieme di teorie complesse che possono essere, al più, falsificate globalmente. Ogni scienziato sa che ogni teoria ha come limite di validità il momento in cui il confronto con la realtà dovesse fornire elementi per ritenerla non più valida, ed è la teoria stessa che offre gli strumenti di verifica, di falsificabilità. Più onesto di chi, innocente, offre ai propri accusatori gli strumenti atti a cercare di dimostrarne la colpevolezza, chi altri? Ciò ricorda molto da vicino il grande Charles Darwin che dedicò un intero capitolo de “L’origine delle specie” a tentativi di confutazione e relative risposte, anticipando quanto avrebbero potuto fare i suoi critici ed oppositori.

E così la moderna criminologia, con metodi pressoché identici, lega inequivocabilmente, al di là di ogni ragionevole dubbio, il criminale al luogo del delitto: perché qualunque cosa tocchi o lasci, ovunque passi, anche inconsciamente, servirà da muto testimone. Impronte, capelli, fibre, sangue o sperma, tracce degli attrezzi, tutto ciò e altro ancora forniscono prove che non dimenticano perché, come nella scienza, l’evidenza fisica non può essere sbagliata, non può falsare se stessa, non può non essere presente se non agli occhi del ricercatore distratto ed impreciso.

In tutti gli angoli più nascosti di questo eccitante percorso logico ci guida l’autore con questo libro, che nasce dalla passione per il consulting detective più famoso del mondo e che ha accompagnato l’autore per moltissimo tempo, documentandosi, leggendo e rileggendo le opere del suo creatore, Sir Arthur Conan Doyle, fino a costruire con pazienza il testo che aveva sempre sognato di scrivere.

Conan Doyle, con Sherlock Holmes, ha inventato il thriller scientifico e l’investigatore per antonomasia, anche se non il primo in assoluto ma certamente colui che è stato imitato ed emulato più di tutti, persino nel mondo reale delle nascenti investigazioni scientifiche più o meno al tempo in cui lo scrittore inglese iniziava a raccontarne le gesta.

Lo scrittore non si aspettava certo di diventare popolare grazie ad Holmes, fin troppo popolare fino a dover tentare di ucciderlo, salvo poi doverlo riesumare a furor di popolo per placare le attese di un pubblico sempre più avido di nuovi casi da risolvere.

Il detective londinese è il personaggio più iconico nel panorama dei romanzi polizieschi il suo modo di indagare, il suo carattere rigido e a tratti eccentrico, l’hanno reso uno degli investigatori più amati nella storia della letteratura. Egli incarna l’abilità professionale, ma anche la pazienza, la visione della vita e del mondo, l’empatia nei confronti del genere umano.

E la lezione che ci viene dal passato, dalla penna del suo creatore, è quella a cui si attiene qualsiasi uomo di scienza da quando Galileo ne definì i principi «perché i discorsi nostri hanno da essere sopra un mondo sensibile e non sopra un mondo di carta».

E così, mentre ci viene raccontato di come osservare significhi mettere in luce alcune caratteristiche di cose, persone, situazioni, relazionandole con altre in un contesto definito nello spazio e nel tempo, e di come osservare significhi anche registrare nel modo più oggettivo possibile, si sta contemporaneamente raccontando come nel contesto della ricerca scientifica, si prosegua indagando nello stesso modo e non senza, a volte e più volte di quanto si pensi, con una certa dose di serendipità, scoprendo anche quello che non stavano cercando ma soprattutto scoprendo persino quanto non pensavano potesse essere ricercabile!

Un testo scaturito dunque da una passione profonda per un personaggio straordinario e maturata attraverso lo studio continuo e minuzioso dei testi scritti sulle avventure del più famoso investigatore londinese.

Un filo che conduce e lega allo stesso tempo l’autore ad un’altra passione: quella per il pensiero scientifico, rigoroso e magnificamente logico che permea la stesura di questo saggio davvero curiosamente singolare, capace di condurci in un luogo della mente il confine tra la scienza e la sua filosofia si annulla e apre al mondo della logica.

Anche se frutto di invenzione, ciò che si apprende da Holmes è assolutamente reale: insegna che la scienza non fornisce risposte semplicistiche, ma un metodo rigoroso atto a formulare domande che possono condurre a delle risposte, e sebbene le moderne tecnologie utilizzate oggi sulla scena del crimine abbiano rivoluzionato l’investigazione scientifica, il corretto approccio del bravo investigatore non può certo prescindere dall’osservazione, dalla deduzione né tantomeno dalla cultura. Sherlock Holmes osserva, contestualizza, deduce, ipotizza, è capace di raccogliere indizi, piccole tracce, sa fornire impensabili interpretazioni, sa scartare eventi tra loro contraddittori; è in definitiva in grado di operare con quel paradigma indiziario che al tempo di Doyle era patrimonio solo del patologo e che era destinato a divenire strumento dello storico dell’arte, del criminologo, del biologo, del matematico, dello storico, persino del  geologo.

Quando Conan Doyle scriveva di Holmes, scienze come la geologia e la biologia, nell’apertissimo clima laico, illuminista e innovatore del Regno Unito vittoriano, si elevavano con chiarezza fino a far diventare i testi di Charles Lyell per la geologia, e di Charles Darwin per la biologia, dei veri e propri bestseller. Ebbe perciò il grande merito di aver considerato la Scienza della Terra al pari delle altre scienze, applicabile nel contesto investigativo gettando quindi le basi dello studio dei terreni in ambito processuale, il primo geologo forense della storia del crimine, seppur (parzialmente) immaginario. Ed alla geologia viene dato ampio spazio in diversi passaggi del testo, raccontando di casi investigativi famosi, immaginati dall’autore della prima e più famosa versione del giallo classico, ma anche tratti da esperienze reali, dove ad esempio l’analisi minuziosa della stratificazione di tracce di diversi terreni contribuì ad inchiodare il criminale senza appello.
Con una narrazione avvincente e sorprendente per molti versi, in un viaggio tra le nascoste pieghe della Londra vittoriana, presi per mano dalla mitica, magnifica intelligenza di Sherlock Holmes, vera quintessenza dell’arte indagatoria, l’autore ci guida in un viaggio straordinario.

Scrittore e saggista, all’occorrenza drammaturgo sceneggiatore e regista. Laureato in geologia è considerato ad oggi uno stimato divulgatore scientifico e culturale, interessandosi in particolar modo alla connessione tra scienza e letteratura. Membro della Società Italiana di Geologia Ambientale e della Società Geologica Italiana è autore di numerosi saggi e articoli su riviste scientifiche nazionali e internazionali.

Approfondimenti

Nel video seguente la Dott.sa Rosa Maria Di Maggio, autrice dell’introduzione al libro, fa il punto sulla geologia forense e sulla figura del geologo forense, fornendo spunti interessanti anche grazie alle risposte date alle domande presentate durante la diretta. Dall’analisi puramente geologica, petrografica e mineralogica della scena del crimine al supporto scientifico fondamentale, la figura del geologo può dare molto in tema di inquinamento ambientale,  o relativamente all’analisi dei materiali lapidei, persino allo scopo di fornire supporto alle autorità preposte alla tutela dei beni culturali. E, ovviamente, agli investigatori scientifici di qualsiasi estrazione.

Le inferenze non deduttive. Un classico dalla geologia.

Negli anni Ottanta, Luis e Walter Alvarez iniziarono a sostenere che un enorme meteorite aveva colpito la Terra circa 65 milioni di anni fa, causando un’enorme esplosione e profondi cambiamenti climatici che coincisero con l’estinzione dei dinosauri. Il gruppo di Alvarez sosteneva che il meteorite aveva causato l’estinzione, ma questo lasciamolo da parte, senza entrare nei dettagli che riguardano ipotesi alternative quali quelle dei Trappi del Deccan. Consideriamo solo l’ipotesi che un enorme meteorite abbia colpito la terra 65 milioni di anni fa. Un’evidenza cruciale per questa ipotesi è la presenza di livelli insolitamente elevati di alcuni elementi chimici, come l’iridio, negli strati della crosta terrestre che hanno 65 milioni di anni. Questi elementi sono tendenzialmente presenti nei meteoriti in concentrazioni molto più elevate rispetto a quelle presenti sulla superficie della Terra. Questa osservazione fu considerata una buona evidenza a supporto della teoria che un meteorite avesse colpito la terra grossomodo in quel periodo.

Se costruiamo questo esempio nella forma di un argomento con premesse e conclusione, è chiaro che esso non è né una induzione né una proiezione. Non stiamo inferendo una generalizzazione, ma un’ipotesi su una struttura o un evento che spiegherebbe i nostri dati. In filosofia si usano diversi termini per indicare inferenze di questo tipo. Il filosofo Peirce le chiamava inferenze “abduttive”, in opposizione a quelle “induttive”. Altri le hanno chiamate “induzioni esplicative” o “induzioni teoriche”. L’espressione più comune è “inferenza alla miglior spiegazione”, ma il filosofo della scienza Peter Godfrey-Smith, contemporaneo, ne usa una leggermente diversa: “inferenza esplicativa”.

di Giacomo Milazzo

Sherlock Holmes, il caso del detective filosofo e scienziato

Da “ilgiornale.it” – 29 maggio 2007, di Daniele Abbiati

Dalla serendipità alla logica investigativa, passando per Conan Doyle

Siamo nel 1301, in India. Nel ricco e multietnico sultanato di Delhi lavora un poeta di eccelsa bravura, contemporaneo di Dante. Si chiama Amir Khusrau ed è ritenuto il massimo autore di espressione persiana vissuto nell’India musulmana dal 1253 al 1325. Scrive moltissimo, con successo, e intorno al 1301 appare il suo capolavoro: Le otto novelle del paradiso. Tutte le novelle, in un’atmosfera di sensuale erotismo, sono intrise di sotterfugi, magie, ricerche di indizi, stratagemmi, sfide di intelligenza. Ed è nella novella del sabato, che compaiono per la prima volta i tre principi del Regno di Sarandib (antico nome dell’attuale Sri Lanka), che un tempo andava dall’Afghanistan all’Oceano, e le loro storie. Il loro padre, che li ha educati a tutte le arti, cresciuti come bravi ragazzi, li mette alla prova esiliandoli, trovandoli umili e riverenti e per nulla ambiziosi. Fingendosi adirato con loro li caccia affinché, per il loro bene, esplorino il mondo, facciano esperienza, vedano i costumi degli altri e si perfezionino, perché un giorno dovranno regnare. (continua)

di Giacomo Milazzo

L’Autore presenta il suo libro

Sherlock Holmes e il tempo in cui egli visse mi ha sempre affascinato. Ovviamente quello semi-ricordato e semi-dimenticato della Londra vittoriana, una città dai contrasti sorprendenti.

Sir Arthur Conan Doyle è riuscito a creare un personaggio veramente nuovo e che, oggi, di là dagli emulatori, dalle apocrife clonazioni e dai successori in linea con i tempi e i costumi, continua a essere amato e per nulla antiquato. L’enorme successo riscosso nel pubblico di tutto il mondo dall’infallibile detective, per non parlare del suo fedele amico e biografo dottor Watson, ha assicurato al personaggio una rinomanza che è sconfinata nella fama. Si ricorderà che quando il suo Autore dopo varie peripezie lo fece precipitare, avvinghiato al suo eterno e acerrimo nemico professor Moriarty, fra le rocce delle cascate di Reichenbach vicino a Meiringen in Svizzera, la reazione dei lettori fu tale che Conan Doyle fu costretto a farlo poi riapparire, o per meglio risorgere, in una successiva serie di racconti.

Sul fascino intenso delle storie di Sherlock Holmes è stato scritto moltissimo. Forse dovuto al contrasto che si genera fra l’eccitazione emotiva dell’avventura selvaggia e il rassicurante controllo intellettuale incarnato dall’investigatore londinese. Holmes è sì frutto d’invenzione, ma quello che impariamo da lui è assolutamente reale. Ci dice che la scienza non fornisce risposte semplicistiche, ma un metodo rigoroso di formulare domande che possono condurre a delle risposte, perché, utilizzando il famoso “assioma” evocato spesso nel “Canone holmesiano”, «una volta eliminato tutto ciò che è impossibile, quello che rimane, per improbabile che sia, dev’essere la verità». Si tratta nientemeno che del classico, galileiano, procedimento sperimentale in cui si analizzano, si comparano e si scartano le diverse variabili e ipotesi in gioco, al fine di corroborare una teoria (scientifica e investigativa) eliminando le false piste. Holmes esalta il valore della teoria come strumento basilare per dare sostanza all’indagine investigativa.

Sherlock Holmes, quasi disumano, senza cuore, ma dotato di una magnifica intelligenza logica, porta a definire l’investigazione come una “scienza esatta”, priva di emozioni e romanticismi fuorvianti e del tutto distaccata dall’anarchismo operativo privo di regole. Considera la scienza come un ragionamento analitico che dagli effetti risale alle cause e risolve l’enigma. Il cliente, dice Holmes, è solo un numero, un fattore in un’equazione. L’investigazione è un’arte che richiede intuito, ma anche tante conoscenze, capacità di osservazione e deduzione, propensione a calarsi nei panni dei criminali. Sherlock pone in rilievo la necessità di non lasciarsi ingannare dalle “innaturali” ovvietà e nello stesso tempo non dimenticare l’importanza delle “inezie”, spesso ignorate dalla narrativa poliziesca coeva e divenute un leitmotiv nella letteratura gialla più recente risentendo dei più evoluti metodi della polizia scientifica moderna.

L’investigatore londinese esegue le sue indagini avvalendosi della conoscenza di cui ha maggiore padronanza che, secondo Watson, sono la letteratura scandalistica, la chimica, l’anatomia, la botanica, persino la geologia.

In particolare, come il geologo o il paleontologo, il nostro detective spiega un fatto o un evento collocandolo all’interno di una serie cronologica. Poi lo trasforma, attraverso una formulazione abduttiva, in una catena di cause ed effetti, a ritroso nel tempo riportandolo a un preciso momento originario. Il geologo come il detective, in un certo senso, abita un mondo di segni che agli occhi degli altri non è percepibile. Ciascuno compie un atto al limite del magico per evocare significati da oggetti e tracce che sembrano indicare un processo storico o una successione di eventi. Holmes, inoltre, è un buon “geologo pratico”. A colpo d’occhio è in grado di riconoscere le diverse tipologie di terreno e mediante la loro consistenza e il loro colore, riesce a individuare da quale parte di Londra provengono. Una sorta di firma geologica come se fosse una vera e propria impronta digitale in grado di consentirgli, addirittura, di risolvere qualche caso giudiziario.

Conan Doyle era già pienamente consapevole del valore delle proprietà morfologiche e mineralogiche dei terreni nelle applicazioni forensi. Nonostante molte delle metodologie descritte nei romanzi di Sherlock Holmes siano inapplicabili nella realtà, verosimilmente Doyle abbozzò un approccio da geoscienziato forense che ora costituisce, per esempio, le basi dello studio dei terreni in ambito processuale e rende, ufficialmente, il detective più importante al mondo, il primo geologo forense della storia del crimine.

È sedimentario, mio caro Watson! (parafrasando la celebre frase apocrifa “Elementare, Watson!”), evocando i racconti di Conan Doyle e avvalendosi di molti e pertinenti riferimenti bibliografici, vuole essere un saggio la cui lettura, mi auguro piacevole, possa permettere di soffermarsi in un “luogo” mentale dove si fa labile il confine tra materie scientifiche e umanistiche, non ibrido, bensì iperspecialistico, dove scienza e filosofia (e conseguentemente letteratura) si abbracciano per condurre nel mondo della logica abduttiva.